Un colpo durissimo per la chiesa, una scossa tellurica capace di fare tremare le fondamenta dell’istituzione. È questo l’effetto del rapporto di circa 900 pagine messo a punto da un grand giurì della Pennsylvania al termine di due anni di indagini sugli abusi sessuali commessi da rappresentanti del clero in sei delle otto diocesi dello stato negli ultimi settant’anni. Il quadro – così come presentato alla stampa da Josh Shapiro, procuratore generale dello stato – è devastante: più di trecento preti hanno commesso violenze sessuali, mille le vittime fra bambini e minori. L’ipotesi però è che siano molte di più: in tanti hanno avuto paura di denunciare i fatti mentre numerosi documenti sono stati distrutti o sono spariti dagli archivi segreti delle diocesi.
Proprio quest’ultimo è un punto chiave dell’indagine, la più ampia e completa mai condotta negli Stati Uniti. Dalle 500mila pagine di documenti analizzati sono emersi gli elementi che consentono di descrivere una strategia dell’insabbiamento messa in atto dalle gerarchie ecclesiastiche per nascondere gli abusi all’opinione pubblica ed evitare il carcere ai sacerdoti predatori (come vengono definiti). All’inchiesta ha contribuito anche l’Fbi. Alcuni agenti del Center for the analysis of violent crime hanno fatto venire alla luce i metodi di insabbiamento.
Tra le opzioni più frequenti spiccano quelle sul linguaggio, come l’indicazione di non usare mai il termine “stupro” ma la più asettica definizione di “comportamento inappropriato”. Soprattutto, è delineata una pianificazione del depistaggio con alcuni elementi ricorrenti: lo svolgimento di indagini incerte e superficiali, evitando che a condurle fosse un personale “adeguatamente formato”; il provvedimento, tutto di facciata, di mandare per qualche tempo il prete colpevole in una clinica psichiatrica o in un istituito specializzato per una opportuna “valutazione”; lo spostamento in un’altra diocesi del sacerdote di cui è certa la responsabilità. Per giustificare questi spostamenti, tutte le diocesi negavano le ragioni vere e parlavano invece di “esaurimento nervoso” o “congedo per malattia”. Un sistema di coperture che si fondava sul ruolo decisivo dei vescovi, cioè delle massime autorità della chiesa locale.
Evitare lo scandalo
Si tratta di uno scenario in parte noto, venuto alla luce a pezzi in varie inchieste e indagini negli ultimi anni, ma che ora trova una sua organicità e precisione tale da ridisegnare in modo definitivo il livello di responsabilità delle persone coinvolte nell’azione di copertura. La documentazione trovata negli archivi segreti delle diocesi riafferma un principio base che ritorna nelle indagini sugli abusi da parte del clero in varie parti del mondo: “evitare lo scandalo”, piuttosto che proteggere le vittime.
Le chiavi dell’archivio segreto, per altro, secondo quanto stabilito dal codice di diritto canonico, devono essere in possesso “del solo vescovo”. Lo stesso codice stabilisce altresì che “ogni anno si distruggano i documenti che riguardano le cause criminali in materia di costumi, se i rei sono morti oppure se tali cause si sono concluse da un decennio con una sentenza di condanna, conservando però un breve sommario del fatto con il testo della sentenza definitiva”; una norma che, evidentemente, è stata variamente interpretata.
I casi specifici messi in evidenza dall’ufficio del procuratore sono raccapriccianti. Nella diocesi di Pittsburgh un gruppo di almeno quattro sacerdoti ha abusato di vari ragazzi. Uno di loro, non ancora diciottenne, è stato costretto a restare in piedi nudo sul letto di una canonica, posando come Cristo sulla croce per i sacerdoti abusatori. Questi ultimi hanno scattato fotografie alla vittima, inserendole poi in una più ampia raccolta di materiale pedopornografico condivisa con altri sacerdoti.
Comportamenti sadomasochisti, uso di fruste, torture, violenze su bambini e bambine di pochi anni, penetrazioni anali, sesso orale e poi violenze psicologiche sulle stesse vittime, ragazze messe incinte e poi costrette ad abortire. È un catalogo sconvolgente di brutalità e comportamenti sadici, feticismi – come quello del prete che raccoglieva urine e mestruo delle ragazze violentate – conditi da paternalismo e da minacce, da una cultura del segreto, complicità morbosa, protezioni.
La gran parte di questi reati è caduta in prescrizione, mentre per gli anni più recenti l’accesso alla documentazione è stato complicato. Il procuratore Shapiro ha fatto proprie alcune raccomandazioni del gran giurì, tra cui la richiesta di eliminare i limiti di età alle denunce per i crimini contro i minori, la possibilità per le vittime più grandi di fare causa per danni, una legislazione adeguata che sanzioni l’omissione delle denunce di abusi sui minori e soprattutto un chiarimento circa il fatto che gli accordi di riservatezza non hanno valore rispetto a quanto una vittima possa riferire alla polizia.
In un paio di casi la giustizia è riuscita a indagare i preti abusatori, mentre nell’occhio del ciclone è finto il cardinale Donald Wuerl, oggi arcivescovo di Washington, accusato di aver coperto gravi abusi in passato, quando era vescovo di Pittsburgh. Va detto che da parte di alcuni esponenti della chiesa c’è stata collaborazione all’indagine: è il caso del vescovo della diocesi di Erie, Lawrence Persico, che ha spinto per la pubblicazione del rapporto e, da parte sua, ha reso noti i nomi dei responsabili degli abusi sul sito della diocesi, creandosi non pochi nemici .
Ritorno al punto di partenza
Tuttavia l’episcopato americano nel suo insieme appare tramortito. Dopo quasi vent’anni di normative in favore della “tolleranza zero”, il susseguirsi di nuovi scandali, i risarcimenti miliardari alle vittime, le centinaia di processi canonici e riduzioni allo stato laicale di preti pedofili, le collaborazioni con la giustizia civile, l’istituzione di comitati di esperti, sembra di essere tornati al punto di partenza. Anche perché solo poche settimane fa, monsignor Theodore McCarrick, ex arcivescovo di Washington, è stato costretto a rinunciare al titolo di cardinale, accusato anche lui di abusi su minori; e però a destare scalpore, anche in questo caso, è stato il fatto che in Vaticano segnalazioni sul caso McCarrick erano arrivate anni fa. Del resto, contatti e scambi d’informazioni fra le diocesi e il Vaticano in merito a certi casi emergono anche nell’indagine in Pennsylvania, ulteriore conferma che Roma era informata del problema.
All’indagine del gran giurì, la Santa Sede ha reagito con una lunga dichiarazione del direttore della sala stampa vaticana, Greg Burke, nella quale si spiega che “davanti al rapporto reso pubblico in Pennsylvania questa settimana, due sono le parole che possono esprimere quanto si prova di fronte a questi orribili crimini: vergogna e dolore”.
Allo stesso tempo si precisa che le nuove pratiche messe in campo dalla chiesa cattolica hanno ridotto drasticamente il numero di episodi di abusi negli ultimi anni. Resta il fatto che solo nei giorni scorsi la sede dell’episcopato cileno è stata perquisita dalla magistratura in cerca di ulteriori prove su una cinquantina di denunce di abusi avvenuti nelle scuole rette dalla congregazione marista. Il paese andino è stato travolto negli ultimi mesi dallo scandalo e sotto indagine è finito anche Ricardo Ezzati Andrello, cardinale e arcivescovo di Santiago del Cile, accusato anch’egli di aver insabbiato e coperto violenze e abusi.
Siamo di fronte a uno scandalo oggettivamente sconvolgente per durata nel tempo e per dimensioni
Il papa di certo ha contribuito ad aprire il vaso di Pandora degli abusi sui minori con l’intento di fare pulizia. Le mosse di Francesco – in particolare l’allontanamento di sacerdoti e vescovi coinvolti in episodi di pedofilia – sembrano tuttavia un po’ tardive e si dimostrano ormai insufficienti. Anche per questo, lunedì 20 agosto, il papa ha sentito il bisogno di rivolgere un lungo messaggio “a tutto il popolo di Dio”, nel quale oltre a riconoscere che “che non abbiamo saputo stare dove dovevamo stare, che non abbiamo agito in tempo riconoscendo la dimensione e la gravità del danno che si stava causando in tante vite” ha individuato nel clericalismo una delle cause di fondo del problema. “Il clericalismo – ha scritto Bergoglio – favorito sia dagli stessi sacerdoti sia dai laici, genera una scissione nel corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare molti dei mali che oggi denunciamo. Dire no all’abuso significa dire con forza no a qualsiasi forma di clericalismo”. Un messaggio apprezzato fra l’altro anche dal procuratore Josh Shapiro, probabilmente anche perché il papa chiede alla chiesa di appoggiare “tutte le mediazioni giudiziarie che siano necessarie”.
Il rapporto mai semplice tra sessualità, esercizio del potere, celibato obbligatorio, segretezza e buon nome dell’istituzione, ha prodotto danni che perdurano nel tempo e, per quanti passi avanti siano stati compiuti dalla chiesa nell’ultimo decennio, la realtà che continua a emergere delinea una quantità di crimini sessuali forse nemmeno ipotizzabile fino a qualche anno fa.
Siamo di fronte a uno scandalo oggettivamente sconvolgente per durata nel tempo e per dimensioni (in Australia i rapporti governativi parlano di 4.500 casi di abusi commessi da sacerdoti fino al 2015) tanto più se si tiene conto che solo una parte di questo tipo di reati è denunciata.
Tra pochi giorni il papa andrà in Irlanda, un paese che, anche in ragione dell’enormità degli abusi sui minori emersi negli anni scorsi, ha visto una caduta clamorosa dell’egemonia culturale cattolica tra la popolazione. Bergoglio incontrerà anche alcune vittime.
In passato Francesco ha più volte descritto il clericalismo come un male da combattere, ma forse è arrivato il momento che il papa apra definitivamente le porte della chiesa ai laici per uscire da una crisi che nessuna commissione vaticana sembra in grado di arginare.
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