Poniamo che i sospetti sulla ex soldata israeliana Anat Kam siano fondati. Partendo da questo presupposto, cerchiamo di completare il quadro seguente. Immaginate di essere Anat Kam, una giovane recluta israeliana che presta servizio nell’ufficio del comando centrale delle forze armate: servite il caffè, passate telefonate, tirate fuori i documenti necessari per le riunioni.

A differenza di gran parte dei vostri coetanei, siete anche caparbie, e forse avete perfino una coscienza, dote rara di questi tempi. Tra un caffè e una telefonata, vi capita di sentire quello che si dice in certe riunioni dove si parla di crimini di guerra.

L’Alta corte di giustizia israeliana ha stabilito che, se è possibile arrestarli, i ricercati non devono essere uccisi. Ma sentite che il comando centrale ordina ai soldati israeliani di eliminare i ricercati senza neanche tentare di arrestarli, e ordina anche di uccidere eventuali innocenti che si trovino vicino all’obiettivo in quel momento (se non c’è altra scelta).

Questo, in certe lingue, si chiama omicidio. Cosa fate? Cosa dovreste fare? Tenete la bocca chiusa? Dimenticate tutto? Non fate un bel niente? Deglutite e pensate intensamente alla prossima libera uscita? Al prossimo appuntamento? Vergogna.

E cosa farebbero, al posto di Kam, tutti quei commentatori convinti della loro superiorità morale e seduti negli studi di radio e tv a chiedersi perché l’ha fatto?

Terrebbero la bocca chiusa? E cosa farebbero i funzionari della pubblica accusa, quelli che si sono precipitati a rilasciare dichiarazioni in cui commentavano tutto quello che aveva fatto Kam e blateravano di condanna all’ergastolo senza dire neanche una parola sulle palesi violazioni della legge commesse dall’esercito?

Anche loro starebbero zitti? Ma tacere su un crimine significa esserne complici.

Se invece decidete di non tenere la bocca chiusa, cos’altro avreste potuto fare se non rendere di dominio pubblico le prove di questo crimine? E cosa fareste nei panni di Uri Blau, il coraggioso giornalista investigativo che ha ricevuto quei materiali? Non li pubblichereste?

Ma un giornalista che non pubblica notizie del genere non è un giornalista. Tradirebbe il suo dovere e la sua professione.

Purtroppo non conosco né Anat Kam né Uri Blau, ma i loro princìpi e le loro motivazioni sono perfettamente chiari. Nell’atto d’accusa contro Kam c’è scritto che ha agito spinta da motivazioni ideologiche: la parola giusta sarebbe “coscienza”.

Se per ipotesi avesse denunciato un caso di corruzione al ministero dell’agricoltura, l’avremmo applaudita. Ma perché denunciare un caso di corruzione in un ministero è permesso e nell’esercito è vietato?

Si può stare certi che Anat Kam non avesse nessuna intenzione di compromettere la sicurezza dello stato. Se questo era il suo scopo, avrebbe trovato un altro destinatario per le informazioni in suo possesso, invece di farle avere a un giornalista israeliano sottoposto alla censura militare.

E neanche Blau voleva mettere in pericolo la sicurezza d’Israele. Entrambi i ragazzi, ciascuno a suo modo, volevano aiutare il loro paese: hanno visto delle cose ingiuste e non hanno voluto tacere. Il loro comportamento dovrebbe essere considerato patriottico. E lo è senz’altro di più che mandare soldati a uccidere dei ricercati a sangue freddo.

Certo, forse i due ragazzi hanno fatto qualche errore. Forse Anat Kam non avrebbe dovuto copiare duemila documenti, sempre che l’abbia fatto davvero. Forse non avrebbe dovuto conservarli tutti nel suo computer. Ma non si dà l’ergastolo a qualcuno per una cosa del genere né lo si lincia pubblicamente.

Dopo un pericoloso insabbiamento durato diversi mesi, la vicenda è diventata di dominio pubblico. L’establishment della difesa e quello della giustizia, che da queste parti sono la stessa cosa, non solo vogliono tener segrete le faccende che riguardano la sicurezza, ma a quanto pare vogliono anche vendicarsi su chi ha osato mettere in piazza i fatti che potrebbero far luce sul lato oscuro delle forze armate israeliane.

Ci si sarebbe potuti aspettare che i giornalisti apprezzassero pubblicamente il coraggio del collega, oltre che quello della soldata Anat Kam. Ma quando mai. Quasi tutti hanno partecipato all’attacco contro i due, ripetendo in coro gli slogan dell’intelligence israeliana.

Anche qualcuno dell’ufficio del procuratore avrebbe potuto dire qualcosa sul fatto, agghiacciante, che le forze armate israeliane danno ordini evidentemente illegali. Ma quando mai. Neanche una parola. Ora Anat Kam e Uri Blau rischiano gravi conseguenze.

Ma verrà il giorno in cui il loro gesto sarà visto sotto una luce diversa. Saremo orgogliosi di loro. La vera sciagura sono la cecità e il silenzio che hanno colpito la stampa e l’opinione pubblica israeliana di fronte alle loro rivelazioni.

*Traduzione di Marina Astrologo.

Internazionale, numero 843, 23 aprile 2010*

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