Niente potrà prendere il posto di quello che abbiamo perso. Commentando l’ultimo rapporto sullo stato dei mezzi d’informazione negli Stati Uniti, Eric Alterman su The Nation usa diverse volte la parola “deprimente”.
Vendite che calano, ricavi pubblicitari che diminuiscono, giornali che chiudono, corrispondenti che tornano a casa, giornalisti licenziati. Eppure ci sono delle eccezioni, posti dove è possibile trovare quel tipo di giornalismo che “fa andare avanti le democrazie”. Ma non bisogna più guardare solo ai mezzi d’informazione tradizionali.
Jeff Jarvis, critico dei mezzi d’informazione, l’ha detto anni fa: “Non ci sono giornalisti, c’è solo il giornalismo. Il giornalismo non si fa più solo nelle redazioni, non è più limitato alla forma narrativa. È un servizio il cui fine è informare i cittadini”.
Le eccezioni a cui si riferisce Alterman sono giornali online come ProPublica (specializzato in giornalismo investigativo) e Marshall Project (giustizia e criminalità), ma soprattutto alcune organizzazioni non governative, in particolare Human rights watch (Hrw).
Con un budget annuale di 80 milioni di dollari e una squadra di 400 persone che lavorano in 60 paesi, nel suo sito e con le sue pubblicazioni questa ong denuncia, racconta, commenta, approfondisce. Human rights watch, però, non è esente da critiche: molti ne mettono in discussione le scelte, spesso allineate a quelle del governo statunitense. E come ogni organizzazione non governativa, Hrw ha obiettivi, priorità e interessi da cui dipendono finanziamenti e donazioni, e che possono condizionare anche solo involontariamente i contenuti apparentemente neutri che pubblica e mette in circolazione.
In un mondo in cui i mezzi d’informazione arretrano perché sono in crisi, non sarà semplice trovare il modo di garantire l’indipendenza e la responsabilità di chi vorrebbe prendere il loro posto.
Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2015 a pagina 5 di Internazionale, con il titolo “Responsabilità”. Compra questo numero| Abbonati
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