Nel box a pagina 72 del numero 1079 abbiamo scritto, riprendendo l’enciclopedia Treccani, che in Italia “l’eutanasia passiva è ammessa in ambito ospedaliero in caso di morte cerebrale previo consenso dei parenti”. “Ma se viene dichiarata la morte cerebrale si è morti e basta!”, obietta giustamente un lettore. E non è l’unico a essersi accorto dell’errore.

Una volta dichiarata la morte cerebrale, la persona è legalmente morta e, “se sussistono le possibilità, si può procedere al prelievo di organi e tessuti. A dichiarare la morte cerebrale è una commissione composta da un neurologo, un rianimatore e un medico legale”, spiega L.C. “La morte cerebrale coincide con la cessazione irreversibile di ogni attività vitale del cervello”, precisa L., anche se quella persona continua a respirare grazie ai ventilatori meccanici. Perciò “la procedura di distacco dal respiratore ed eventuale espianto di organi non è assimilabile all’eutanasia”.

L’eutanasia, invece, è l’interruzione delle funzioni vitali, e implica la richiesta di morire fatta da qualcuno in grado d’intendere e di volere. In Italia, insomma, l’eutanasia è un reato. Anche se il dibattito sul significato di questa parola è ancora aperto.

Questo articolo è stato pubblicato il 12 dicembre 2014 a pagina 14 di Internazionale, con il titolo “Due volte morti”. Compra questo numero | Abbonati

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