Elizabeth A. Armstrong e Laura T. Hamilton, Paying for the party
Harvard University Press, 344 pagine, 31 euro
Fino a poco tempo fa negli Stati Uniti la maggior parte delle persone pensava che gli studi universitari fossero la chiave per la mobilità sociale. Dal momento che chi va in un buon college ha più possibilità di migliorare la propria posizione, vale la pena di impegnarsi in intense ricerche per capire dove si hanno più probabilità di essere ammessi, presentare molte domande e soprattutto indebitarsi per pagarsi gli studi.
Una volta diventati più ricchi e soddisfatti grazie al diploma ottenuto, il gioco risulterà comunque vantaggioso. Questo libro (come anche altri commentati e recensiti sull’ultimo numero della New York Review of Books) mostra che in questo meccanismo qualcosa si è inceppato. Si tratta di uno studio sulle ragazze provenienti da classi sociali diverse che si trovano a frequentare lo stesso college, alloggiando nello stesso dormitorio.
Da un lato, le autrici dimostrano che, indipendentemente dalle capacità, le ragazze provenienti dalle classi più ricche riescono a laurearsi e a trovare lavoro, quelle che vengono dagli strati sociali inferiori, no. Dall’altro, fanno capire che la stessa vita universitaria è un esercizio – crudele – volto alla celebrazione delle differenze di classe, in cui le attività come le feste e lo sport, più che l’attività accademica e le ore di lezione, contribuiscono a mantenere e a riprodurre le diseguaglianze.
Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2015 a pagina 84 di Internazionale, con il titolo “Poison Ivy League”. Compra questo numero | Abbonati
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