Marlene Van Niekerk, La via delle donne
Neri Pozza, 782 pagine, 20,00 euro
In un vecchio romanzo dell’ottocento, Eugène Sue raccontò di Atar Gull, lo schiavo africano che si vendicava a Parigi dei suoi padroni con la dolcezza e l’inganno. In questo romanzo dei primi del duemila, ottimamente tradotto, una afrikaaner esplora l’universo del colonialismo del novecento a partire dall’ambiguità del suo popolo, quella stessa a cui ci ha introdotto Coetzee (amaramente in Vergogna, in Tempo d’estate e altri).
Agaat o Gaat è stata raccolta, bambina nera e imperfetta, da Milla, una colona afrikaaner che ne fa una perfetta aiutante e confidente e le affida il figlio Jakkie, diventato intellettuale in Canada e tornato in Sudafrica per la morte della madre: sono suoi il prologo e l’epilogo del romanzo, è lui la sua chiave di volta. La solidarietà tra le sue due madri è contraddittoria, come lo è sempre tra padroni e servi, ed è segnata dal legame e insieme dalla rivalità portati da Jakkie, mentre Jak, il marito, il padre e padrone, fallisce nei sogni di parità afrikaaner con l’etnia dominante, i bianchi ma inglesi, e disprezza ogni nero.
Milla e Gaat hanno delle cose una visione assai diversa, ma tra di loro – elemento di gelosia ma anche di unità – c’è Jakkie, cui tocca, adulto, tirare i fili, capire. Un grande romanzo dalla scrittura nervosa, tesa, spezzata, un’opera seria tra tanti stupidi best seller.
Internazionale, numero 853, 2 luglio 2010
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