Lev Tolstoj, Che cos’è l’arte
Donzelli, 250 pagine, 17,50 euro
Splendida idea, quella di ripubblicare questo saggio a cent’anni dalla morte del grande russo, contro il quale si sono scagliati migliaia di artisti e professori accusandolo delle peggiori cose. È, in ogni caso, fondamentale leggerlo, almeno a un certa età, per liberarsi dalle idee estetizzanti e narcisiste o bassamente mercantili che affliggono tanta parte dell’arte contemporanea, anche se oggi i nemici di Tolstoj non stanno certo tra i sostenitori dell’arte per l’arte ma tra quelli – che sono migliaia e migliaia, che fanno parte e che quasi completano l’industria della “cultura di massa” – dell’arte come strumento economico e spettacolare, il cui primo principio è di “vendere” consolando e abbrutendo.
Tolstoj privilegia l’etica sull’estetica, condanna l’estetica (quella moderna, non è sempre stato così) come esempio di nichilismo evidente, ne ridiscute i fini e di conseguenza il rapporto tra i fini e i mezzi così come ha fatto a proposito di morale e di politica. Il bello deve tornare in rapporto diretto con il vero e con il giusto. Questo discorso è ampio e articolato, e forse è più convincente oggi di ieri. E naturalmente Tolstoj non poteva che applicare alle proprie opere queste conclusioni, dando vita infine a un capolavoro come Resurrezione, ovviamente inviso ai privilegiatori dell’estetico.
Internazionale, numero 867, 8 ottobre 2010
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