James Joyce, Ulisse

Einaudi, 988 pagine, 28 euro

È il capolavoro di Joyce, un libro-chiave del novecento, di cui segnalare l’eroica impresa di una nuova traduzione affrontata da Gianni Celati, che le ha dedicato cinque anni della sua vita.

Tradurre Joyce oggi vuol dire anche, con molta incoscienza e con molta coscienza, renderlo adeguato agli sviluppi di una modernità che non ha fatto, tramutandosi da ultimo in post-modernità, che accentuare il caos di ogni società, e non solo, oggi, di quella occidentale (un caos ben rappresentato dalla Dublino-Irlanda di Joyce in un giorno – un solo giorno – dei primi del novecento). Se Eliot parlò di “futilità e anarchia” per la società che incontriamo nell’

Ulisse, che dire di quella di oggi?

Le peregrinazioni cittadine inquiete di un padre senza figlio e di un figlio senza padre (Ulisse e Telemaco, Leopold Bloom e Stephen Dedalus) si concludono nell’inquieto rievocare e fantasticare notturno di una donna, Molly, la moglie di Bloom. Ulisse è un libro fondamentale e la nuova traduzione, rispettandone la complessità linguistica e strutturale, la varietà dei gerghi, anche bassi, il gioco delle citazioni, il rapporto tra l’Ulisse di ieri – del mito – e quello del novecento e di poi – ha costituito per Celati una scommessa, e un’avventura eccezionali. Da “un’incredibile lingua inglese” a una straordinaria lingua italiana.

Correzione: 20 marzo 2013

Nella prima versione dell’articolo c’era scritto che Ulisse era ambientato nel primo dopoguerra.

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