Francesco Maino, Cartongesso
Einaudi, 239 pagine, 19,50 euro
Un mondo di cartongesso sono ormai il Veneto e l’Italia per Michele Tessari, il protagonista alter ego dell’autore di questo sfogo aggressivo e veemente, che tanto è furioso quanto è doloroso: la constatazione di un marcio irrimediabile, dell’insopportabilità della società in cui si è costretti, delle sue ipocrisie, della sua radicale ingiustizia e intima violenza, non perdona – e non sarebbe giusto – neanche se stessi.
La narrazione fa fatica a staccarsi dall’invettiva, ma Michele Tessari – penalista sui quarant’anni che dice “faccio l’avvocato, non sono un avvocato”, che è a contatto nel carcere e in tribunale con i risultati di un preciso sistema di potere, composto da “una moltitudine politica minata, minata e decomposta, illuridita nel profondo dell’anima o meglio destituita d’ogni equilibrio morale, sfasciata e fistolizzata” – sa ancora la differenza tra il bene e il male e, nel suo piccolo, cerca di fare il possibile e il giusto.
Si staglia alla fine come un personaggio potente, tra i più rilevanti delle nostre lettere, un “egocentrista del cazzo” che però ha occhi per vedere e bocca per gridare, un piccolo profeta biblico senza nessuna consolazione. Tra brandelli di privato dentro un flusso collettivo, sempre amaro, spesso osceno: “Ecco quello che hanno fatto di me: un complice debole”. Ecco quello che hanno fatto di noi, dovrebbero dire i lettori.
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