Nei giorni prima di Natale la mia casa aveva cominciato a somigliare a un impianto di trattamento dei rifiuti mal gestito. Avevamo previsto di trascorrere un po’ di tempo con dei parenti vulnerabili, e quindi controllavamo attentamente di non esserci infettati di covid-19. Ogni test rapido ha generato sette articoli di rifiuti non riciclabili, che si sono ammucchiati in bagno fino a quando mi sono fatto forza e li ho buttati via. Adesso si trovano, presumibilmente, in una discarica.

È vero che la pandemia ha temporaneamente ridotto i consumi globali e le emissioni di gas serra, ma dal punto di vista dell’inquinamento ha generato una grandissima confusione. È diventato presto chiaro che grandi quantità di mascherine e altri rifiuti medici gettati venivano disperse nella natura.

Una recente ricerca ha rivelato le scioccanti proporzioni della montagna di rifiuti generata dal covid-19. Si stima che, all’agosto del 2021, la pandemia abbia generato 8,4 milioni di tonnellate di rifiuti plastici che sono stati scaricati nell’ambiente invece di essere smaltiti correttamente. Questi rifiuti mal gestiti sono la principale fonte di plastica nell’oceano. Prima della pandemia, ne riversavamo collettivamente circa 32 milioni di tonnellate all’anno. Gli 8,4 milioni di tonnellate in più “intensificano la pressione su un problema globale di rifiuti plastici già fuori controllo”, scrivono gli autori della ricerca.

I rifiuti e l’inquinamento hanno superato un punto di non ritorno. Stiamo letteralmente soffocando sotto i nostri stessi detriti

Non è un’esagerazione. L’anno scorso le Nazioni Unite hanno dichiarato che i rifiuti e l’inquinamento sono una crisi planetaria al pari del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità, e che vanno affrontate tutte e tre insieme. Tuttavia, fino a poco tempo fa, questa crisi era al terzo posto nella classifica globale. Un fatto dovuto in parte alla mancanza di dati. Quantificare i rifiuti e l’inquinamento è difficile. Ma se rimanevano alcuni dubbi sulla portata del problema, le nuove ricerche li dissipano. È infatti emerso che i rifiuti e l’inquinamento hanno superato un punto di non ritorno chiamato “limite planetario”, e sono oggi una minaccia per l’abitabilità del nostro pianeta. Stiamo letteralmente soffocando sotto i nostri stessi detriti.

Il concetto di limite planetario risale al 2009, quando un gruppo di ricercatori guidati da Johan Rockström, direttore dello Stockholm environment institute, ha cercato di definire quello che ha ribattezzato uno “spazio operativo sicuro per l’umanità”. Hanno scelto nove parametri globali che sono rimasti notevolmente stabili negli ultimi diecimila anni, tra cui il clima, la biodiversità, il degrado della terra e l’inquinamento. Questi creano collettivamente un sistema che rende possibile la nostra vita sulla Terra, ma sono stati indeboliti dal predominio degli esseri umani sul pianeta. Per ogni parametro, hanno tentato di fissare un limite che noi violiamo a nostro rischio e pericolo.

Nel 2015 l’équipe ha dichiarato che quattro dei nove limiti planetari – l’integrità della biosfera, il cambiamento climatico, l’uso del suolo e i cicli di azoto e fosforo – erano stati superati. E due di essi erano ancora indefiniti, e includevano “nuove materie” – perlopiù sostanze chimiche rilasciate nell’ambiente dalle attività umane. In altre parole, rifiuti e inquinamento.

Il nuovo studio tenta di colmare questa lacuna di conoscenza. Definisce il limite come la capacità globale di eseguire test di sicurezza su queste nuove sostanze e di monitorarle nell’ambiente. Gli autori affermano che la produzione globale di prodotti chimici è aumentata di cinquanta volte dal 1950, e che sul mercato ci sono oggi 350mila prodotti chimici sintetici. Per la maggior parte di essi non è stata fatta un’adeguata valutazione di tossicità ambientale. L’équipe stima che abbiamo violato il limite di circa il 200 per cento: un impatto pari a quanto fatto all’integrità della biosfera, e peggiore di quello sul cambiamento climatico.

Il tempismo della ricerca è frutto sia del caso sia di una strategia. Dal 28 febbraio la quinta Assemblea sull’ambiente delle Nazioni Unite– l’organo decisionale di maggior livello al mondo per le questioni ambientali – si riunirà a Nairobi, in Kenya. Sul tavolo c’è una risoluzione per istituire un organismo scientifico globale che si occupi di sostanze chimiche, rifiuti e inquinamento, sul modello di quelli per il clima e la biodiversità. L’evento è il culmine di una campagna cominciata l’anno scorso e che ha raccolto vari consensi. Non è una coincidenza che siano coinvolti molti dei ricercatori del documento sui limiti planetari.

Anche senza i rifiuti generati dal covid-19, è chiaro quanto sia importante il successo della campagna. Il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici ha fatto più di ogni altro gruppo per convincere i leader mondiali a prendere sul serio la crisi climatica. La Piattaforma intergovernativa scienza-politica sulla biodiversità e i servizi dell’ecosistema, creata nel 2012, ha rafforzato la consapevolezza della crisi della biodiversità in modi mai visti prima. I rifiuti e l’inquinamento non meritano di meno.

Non rientreremo presto all’interno del limite. Si prevede che la produzione chimica globale triplichi di nuovo entro il 2050. Ma quando i rifiuti che generiamo con il covid-19 saranno diventati una testimonianza archeologica della prima grande pandemia del ventunesimo secolo, forse avremo imparato a smettere di sporcare il nostro stesso nido. Sperando di esistere ancora come genere umano.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale New Scientist.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it