Uccidere i giornalisti è una cosa da nulla. “Bisogna sbarazzarsi di loro. ‘Notizie false’ è un’espressione fantastica, vero? In Russia non avete questo problema, ma noi sì”, ha detto Donald Trump a Vladimir Putin, l’unico leader internazionale che il presidente degli Stati Uniti evita accuratamente di criticare. I due capi di stato hanno scherzato allegramente durante l’ultimo G20 in Giappone. “Il problema ce l’abbiamo anche noi. Anche in Russia è lo stesso”, ha risposto Putin.
In realtà no, non è lo stesso. Da quando Putin è diventato presidente, in Russia sono stati uccisi ventisei giornalisti, e per questo oggi i mezzi d’informazione russi sono estremamente prudenti. Durante la presidenza di Trump, invece, negli Stati Uniti nessun giornalista è stato ucciso per ragioni politiche. I mezzi d’informazione statunitensi possono ancora svolgere il loro lavoro come si deve. Alcuni non lo fanno, ma questa non è una novità.
La novità, relativa, è che per un giornalista mediorientale sta diventando sempre più rischioso criticare gli Stati Uniti o i loro alleati locali. Il caso più eclatante è quello dell’omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi all’interno dell’ambasciata saudita di Istanbul da parte di una squadra di assassini al soldo del governo di Riyadh (più che di omicidio forse dovremmo parlare di macellazione, dato che il corpo di Khashoggi è stato fatto a pezzi).
È comprensibile che i giornalisti di Al Jazeera prendano sul serio la minaccia di un attacco saudita
Khashoggi scriveva per il Washington Post. Di conseguenza la sua morte ha attirato l’attenzione generale. A rischiare più di tutti, però, sono i giornalisti che lavorano per Al Jazeera Media Network. Parliamo della migliore rete d’informazione del mondo arabo (con un’approfondita sezione in lingua inglese), costretta a temere un bombardamento della sua sede centrale in Qatar da parte dell’Arabia Saudita.
I vertici di Al Jazeera hanno acquistato delle pagine pubblicitarie nei principali quotidiani del mondo (il 23 giugno sul New York Times, il 29 giugno sul Guardian) per denunciare di essere esposti a “una minaccia credibile” da parte dell’Arabia Saudita. Purtroppo hanno ragione.
Tutto è cominciato con un tweet pubblicato a metà giugno in cui l’influente giornalista saudita Khaled al Matrafi ha comunicato che il quartier generale di Al Jazeera a Doha, in Qatar, era “un bersaglio legittimo e logico” per la coalizione guidata da Stati Uniti e Arabia Saudita, la stessa che da quattro anni continua a bombardare impietosamente lo Yemen.
Informazione di palazzo
Al Matrafi non è un cane sciolto. Ex direttore del canale d’informazione Al Arabiya, inizialmente finanziato dai parenti della famiglia reale saudita per contrastare le critiche provenienti da Al Jazeera, è molto vicino ai personaggi più influenti del regno, tra cui il principe ereditario Mohammed bin Salman, più che probabile mandante dell’omicidio di Khashoggi.
Twitter ha cancellato il post di Al Matrafi nel giro di 24 ore, ma resta il fatto che Al Arabya viene spesso utilizzata dalle autorità saudite per veicolare le proprie minacce. Nel 2017, quando l’Arabia Saudita e i suoi alleati arabi hanno imposto un embargo al piccolo emirato del Qatar (anche per convincerlo a chiudere Al Jazeera), l’allora direttore generale di Al Arabyia, Abdulrahman al Rashed, aveva annunciato che in caso di mancata sottomissione del Qatar l’emirato sarebbe stato invaso e tutti i dipendenti di Al Jazeera (provenienti da 94 nazionalità diverse) massacrati.
Alla fine l’invasione non c’è stata, probabilmente grazie all’intervento di Washington. Il Qatar è ancora un paese indipendente e Al Jazeera è ancora in attività. Ma l’obiettivo dell’intervento degli Stati Uniti era evitare imbarazzi, non certo salvare Al Jazeera. La Casa Bianca, infatti, considera Al Jazeera come un nemico.
Nel 2001, quando George W. Bush stava pianificando l’invasione dell’Afghanistan, gli Emirati Arabi Uniti (primi alleati dell’Arabia Saudita) lo invitarono a bombardare la sede di Al Jazeera a Kabul, fornendogli addirittura le coordinate esatte dell’edificio. Sorprendente coincidenza, poche settimane dopo gli Stati Uniti bombardarono la sede di Al Jazeera a Kabul.
Coincidenza ancora più sorprendente, la stessa sequenza di eventi ha portato alla distruzione della sede di Al Jazeera a Baghdad durante l’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003. Quella volta gli Stati Uniti avevano ricevuto le coordinate della struttura dalla stessa Al Jazeera, eppure l’aviazione di Washington ha distrutto la redazione uccidendo tre giornalisti.
Per tutte queste ragioni è comprensibile che i giornalisti di Al Jazeera prendano sul serio la minaccia di un attacco saudita, soprattutto in un momento in cui sembra che Stati Uniti e Arabia Saudita si preparino a scatenare una guerra contro l’Iran. Per la precisione, l’Arabia Saudita sta spingendo l’America a scatenare una guerra contro l’Iran, con i sauditi (e gli israeliani) entusiasti spettatori.
Il Qatar, piccola penisola sulla costa arabica affacciata sul Golfo, è geograficamente stretto tra l’Arabia Saudita e l’Iran. C’è ancora la possibilità che il paese non sia invaso dalle forze saudite in un’ipotetica guerra, ma di sicuro agli Stati Uniti e all’Arabia Saudita basterebbe un minimo pretesto per distruggere il quartier generale di Al Jazeera.
Meno probabile, ma comunque possibile, è che l’Arabia Saudita colpisca Al Jazeera prima ancora dell’inizio di una guerra, utilizzando lo Yemen come pretesto, come ipotizzato da Al Matrafi. D’altronde, nel Medio Oriente di oggi, quasi niente è impossibile.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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