Due settimane fa, le tre principali guerre al mondo erano in Ucraina, in Etiopia e nello Yemen. Oggi delle tregue hanno fatto tacere i cannoni e fermato gli attacchi aerei in due di questi tre paesi. Si tratta finora solo di tregue temporanee, ma si può ragionevolmente sperare che diventino qualcosa di più definitivo.

La dichiarazione di “tregua umanitaria” del governo etiope il 24 marzo è stata una sorpresa. Sei mesi fa i ribelli erano avanzati dalla loro provincia d’origine del Tigrai, coprendo quasi la metà della distanza che li separava dalla capitale del paese, Addis Abeba, e il primo ministro Abiy Ahmed sembrava sull’orlo della sconfitta.

I tigrini hanno stretto un’alleanza con un altro movimento separatista, il Fronte di liberazione oromo, con il quale erano disposti a costituire un’alleanza fisica. La sopravvivenza del secondo paese più grande dell’Africa sembrava appesa a un filo, e le guerre di confine, se l’Etiopia si fosse scissa in una serie di stati su base etnica, sarebbero potute andare avanti per decenni.

Affamare la popolazione
Ma i tigrini hanno esaurito i loro rifornimenti, Abiy Ahmed si è rifornito di droni di fabbricazione turca, e alla fine dell’anno la linea del fronte era tornata a nord, al confine con il Tigrai. Qui l’esercito etiope si è arrestato, consapevole che prendere la provincia ribelle con la forza avrebbe provocato molte vittime da entrambe le parti, senza garanzie di successo.

Il Tigrai è un territorio chiuso e circondato, e un blocco dell’Etiopia su tutte le scorte di cibo dall’esterno era la soluzione più ovvia. Alla fine dello scorso mese almeno due dei sette milioni di abitanti del Tigrai soffrivano di carenza estrema di cibo, e praticamente tutta la popolazione era costantemente affamata.

La guerra nello Yemen è solitamente presentata come una guerra tra il “legittimo” governo yemenita e i “ribelli” huthi

Se l’obiettivo era convincere il Tigrai a rimanere parte dell’Etiopia, però, il blocco doveva finire prima che grandi quantità di persone morissero di fame. Abiy Ahmed l’ha capito, ma è comunque improbabile che dichiari una tregua senza una qualche assicurazione, da parte dei dirigenti tigrini, che questi la rispettino, e che a essa seguano reali negoziati.

La guerra nel Tigrai ha provocato la morte di decine di migliaia di persone e ha generato milioni di sfollati, ma esiste adesso la reale possibilità che questo conflitto di 16 mesi finisca con una pace negoziata che mantenga il Tigrai, almeno formalmente, dentro lo stato etiope. È un elemento importante, perché un’effettiva secessione del Tigrai avrebbe probabilmente generato a cascata altri movimenti separatisti.

La guerra in Yemen va avanti da più tempo (sette anni ormai) ed è stata molto più sanguinosa (quattrocentomila morti, che continuano ad aumentare). Di solito i mezzi d’informazione internazionali la presentano come una guerra tra il “legittimo” governo yemenita e i “ribelli” huthi, con una serie di monarchie e dittature arabe che sostengono il governo e l’Iran che sostiene i ribelli. Niente di tutto questo è vero.

Gli huthi sono la milizia delle tribù dello Yemen del nord, che si sono ribellate quando il regime controllato dai sauditi ha cercato di escluderle dalla loro quota dei limitati proventi petroliferi del paese (il petrolio è tutto nel sud del paese). L’Iran simpatizza con le tribù huthi perché queste sono, come l’Iran, musulmani sciiti, ma Teheran non li sostiene militarmente, né sarebbe in grado di farlo.

Il governo “legittimo” è formato da un ex feldmaresciallo e politico yemenita chiamato Abd Rabbo Mansur Hadi, promosso undici anni fa a presidente ad interim (senza elezioni) per un periodo transitorio di due anni. Hadi ha ottenuto il suo incarico facendo un accordo con i sauditi, che hanno sempre voluto un funzionario manipolabile al potere nel turbolento paese oltre il loro confine sud.

Squallide considerazioni
Hadi stava semplicemente cercando di rafforzare la sua posizione quando ha tolto agli huthi la loro quota di proventi petroliferi, perché viene lui stesso dal sud. Quando gli huthi si sono ribellati e hanno preso il controllo di una larga fetta del paese, è scappato in Arabia Saudita, dove ha trascorso la maggior parte del suo tempo da allora.

Da quel momento, i sauditi e i loro amici del golfo Persico (sostenuti dall’occidente) hanno bombardato lo Yemen, ma i loro eserciti sono composti perlopiù da mercenari scarsamente motivati, che quindi sono poco efficaci sul terreno. La guerra è in stallo da anni, e un blocco quasi completo ha spinto alla carestia quasi tutto il paese. La maggior parte dei quattrocentomila decessi sono stati provocati dalla fame.

La tregua di due mesi è quindi una benedizione, anche se per ora permette solo l’arrivo di carburante, e non di cibo, nei porti. Per nessuna delle due parti è in gioco alcun principio, ma solo squallide considerazioni di denaro e potere. In teoria, quindi, dovrebbe essere possibile raggiungere un accordo di pace duraturo, nel quale tutti condividano parte della (piuttosto limitata) ricchezza.

In Yemen le cose non sono mai così semplici, ma il sostegno occidentale all’Arabia Saudita si è ridotto da quando il principe ereditario Mohammed bin Salman è diventato una figura impresentabile (l’omicidio di Jamal Khashoggi e via dicendo), e quindi tutti potrebbero essere ormai pronti per un accordo. Altrimenti, perché una tregua?

Se funzionerà, rimarrà una grande e pericolosa guerra in Ucraina, ma due delle tre peggiori guerre al mondo saranno finite. Rispetto a un lungo e sanguinoso passato, non è un brutto risultato.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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