La riforma del sistema finanziario che sta per essere approvata dal congresso degli Stati Uniti non sarà la panacea delle crisi finanziarie. Ma, considerato il peso delle lobby di Wall street che hanno tentato di renderla inoffensiva, conserva un rigore sorprendente.
Il provvedimento limita infatti le attività di trading delle banche, impone un certo grado di trasparenza al mercato dei derivati, conferisce al governo il potere di rilevare gli istituti in difficoltà e crea un nuovo ente per la protezione finanziaria dei consumatori.
Questo significa che la riforma avrà effetti concreti sui risultati economici di alcune delle società finanziarie più grandi del paese, tra cui Goldman Sachs e J. P. Morgan.
C’è però un gruppo di imprenditori che sono riusciti dove Wall street ha fallito, e hanno costretto il congresso a lasciare tutto com’era: i rivenditori di auto. Il disegno di legge avrebbe potuto avere conseguenze allarmanti per questi protagonisti del credito al consumo. Oggi, infatti, negli Stati Uniti i prestiti in sospeso per l’acquisto di auto ammontano a circa 850 miliardi di dollari, una cifra pari quasi al debito complessivo degli americani con le carte di credito.
E gli intermediari di questi prestiti sono, per l’80 per cento, i rivenditori di auto. Visto che il compito del nuovo ente per la protezione finanziaria dei consumatori sarà sorvegliare il mercato del credito al consumo, che negli ultimi anni è diventato una specie di buco nero, sarebbe stato naturale che anche i rivenditori di auto ricadessero sotto la sua giurisdizione. E invece, grazie alla speciale esenzione che hanno ottenuto, l’ente non potrà toccarli.
I rivenditori sostengono che è giusto, perché loro sono solo intermediari tra chi presta e chi prende in prestito. Ma la crisi dei mutui subprime ci ha insegnato quanti danni possono fare gli intermediari: i broker dei mutui, cioè gli intermediari del mercato immobiliare, hanno permesso ai clienti di accendere mutui anche se non avevano i requisiti necessari, li hanno incoraggiati a mentire sui loro redditi e gli hanno fatto ottenere mutui che non avrebbero potuto permettersi.
E neanche i rivenditori di auto sono degli angeli. Uno studio recente di Raj Date e Brian Reed dimostra che i rivenditori incassano abitualmente degli incentivi per “pilotare” i clienti verso alcune agenzie di prestiti invece di altre, e a volte approfittano anche della pratica di finanziamento per far crescere le loro percentuali. Alcuni fanno addirittura risultare un tasso d’interesse maggiore di quello reale per intascare la differenza: un metodo che costa ai clienti più di venti miliardi di dollari l’anno.
I rivenditori di automobili si sono conquistati la loro esenzione all’antica con una furiosa attività di lobbying al congresso. Questo ci rivela qualcosa d’importante sulle lobby negli Stati Uniti, e cioè che il loro potere non dipende solo dai soldi. Le imprese che hanno ottenuto di più con le loro pressioni sulla legge per la riforma del sistema finanziario non sono per forza quelle che hanno speso di più.
Sono invece quelle che sono riuscite nel duplice intento di convogliare su singoli deputati e senatori le pressioni della base e di mostrarsi più lontane da Wall street. I rivenditori di automobili erano nella posizione ideale per riuscirci: in tutti gli Stati Uniti le concessionarie sono 18mila e danno lavoro a un milione di persone, il che significa che ogni deputato e senatore ha un sacco di elettori che per la loro sopravvivenza dipendono da una concessionaria.
Nei singoli stati i rivenditori di auto sono da tempo una delle lobby più potenti e si sono fatti sentire anche a Washington. Hanno saputo presentarsi come imprenditori onesti, lontani dai miliardari di Wall street: un argomento falso (il 70 per cento dei prestiti per l’acquisto di un’auto è garantito o finanziato da Wall street), ma retoricamente efficace. Presi nel loro insieme sono un comparto enorme, ma per lo più sono piccoli uomini di affari: insomma, sono americani medi, e deputati e senatori amano mostrarsi come i difensori dell’americano medio.
Naturalmente si potrebbe dire che la democrazia dei gruppi d’interesse significa proprio questo: consentire a soggetti economici piccoli e non molto potenti di unire le forze formando lobby efficaci. Ma il problema è che questo sistema non fa nulla per il soggetto più piccolo e meno potente: il consumatore.
I parlamentari avranno magari spiegato l’esenzione concessa ai rivenditori di automobili con l’intenzione di dare una mano all’uomo della strada e non a Wall street. In realtà hanno fatto tutt’altro: hanno anteposto l’interesse dei rivenditori (non subire una regolamentazione troppo severa) all’interesse generale (l’equità del mercato).
Risultato: al nuovo ente di protezione finanziaria dei consumatori viene impedito di controllare uno dei prodotti finanziari più richiesti. Un po’ come se la Food and Drug Administration, l’ente governativo che vigila sui farmaci immessi sul mercato, non potesse controllare gli antidolorifici.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it