Nell’autunno del 2012, Xi Jinping, l’attuale segretario generale del Partito comunista cinese, quello che l’Economist ha recentemente definito “l’uomo più potente del mondo”, era una figura poco nota. Aveva trascorso i cinque anni precedenti il diciottesimo congresso del partito come erede designato del presidente Hu Jintao, ma non era noto per alcuna specifica decisione politica, frase o posizione ideologica.

Si sapeva poco della sua vita privata, a parte il suo matrimonio con una famosa cantante, o della sua storia personale, a parte il fatto che fosse il figlio di un ex compagno d’armi di Mao Zedong e Deng Xiaoping.

Quando gli specialisti azzardavano ipotesi su di lui, consideravano due possibilità. Poteva rivelarsi, come Hu durante il lustro precedente, un grigio funzionario sottomesso alle direttive di partito che avrebbe mantenuto lo status quo, esercitando un controllo progressivamente più forte sulla società civile e adottando solo misure economiche prudenti. Oppure avrebbe seguito le orme di Deng, rilanciando le riforme economiche della Cina, e addirittura spingendosi a qualche riforma politica.

Questo succedeva cinque anni fa. Ma il modo in cui Xi sta governando la Cina ha mandato all’aria ogni previsione.

Viaggi e travestimenti
Oggi le parole e il volto di Xi sono ovunque. Le librerie cinesi sono piene di volumi su di lui o scritti da lui. La sua figura è strettamente legata a slogan onnipresenti, come “Sogno cinese”, alla costruzione frenetica d’infrastrutture e a programmi d’investimento come la belt and road initiative.

In Cina circolano liberamente dettagli agiografici sulla sua gioventù e i suoi primi passi, come le difficoltà che avrebbe patito quando da giovane è stato spedito a lavorare in campagna durante la rivoluzione culturale, che ne avrebbero rafforzato il carattere. Sul piano internazionale, è noto per i suoi viaggi di altro profilo a Seattle (dove ha parlato a un gruppo di capi d’azienda miliardari), nel Regno Unito (dove ha viaggiato su un calesse dorato) e a Davos (dove si è travestito da alfiere della globalizzazione).

Negli anni ha chiarito la sua idea del mondo, assumendo uno stile da uomo forte, solo al comando, senza più accontentarsi di governare come primo tra pari. La Cina è rimasta economicamente prospera e ha guadagnato influenza internazionale, soprattutto considerando la frenata degli Stati Uniti come leader globale durante la presidenza Trump. Ma il governo di Xi ha anche effettuato una stretta sulla vita politica, erigendo nuove barriere contro la libertà d’espressione e invocando una maggiore vigilanza per proteggere la Cina dalle influenze esterne, nonostante gli elogi di facciata della globalizzazione.

Il volto e le parole di Xi appaiono in prima pagina con una frequenza che ricorda il culto della personalità ai tempi di Mao

In molti oggi si chiedono dunque se non somigli piuttosto a Mao o, volendo guardare oltre la Cina, a Vladimir Putin. Il diciannovesimo congresso del partito glorifica Xi e il suo modo di guidare la Cina, e dovrebbe ulteriormente rafforzare la sua capacità di piegare il sistema alla sua volontà personale.

Alcuni di questi sviluppi erano attesi. I leader cinesi, al contrario dei candidati presidenziali statunitensi, annunciano il loro programma solo dopo aver preso il potere. Molto di quanto accaduto, tuttavia, era inatteso.

Cinque anni fa sembrava che avesse preso piede una “normalità post Tiananmen”: il successore del segretario era nominato cinque anni prima del congresso nel quale avrebbe poi preso il potere. Tradizione voleva che i componenti anziani del comitato permanente del Partito comunista si ritirassero prima di aver compiuto 68 anni. Il segretario generale confermava la sua intenzione di ritirarsi dopo due mandati pieni da cinque anni ciascuno, e il contributo all’ideologia del Partito comunista del leader del momento era unanimemente considerato inferiore a quello di Mao e Deng.

Oggi sta invece prendendo forma un nuovo ordine che ha al centro Xi Jinping, e nel quale si può fare a meno di ciascuna di queste norme, così come è ormai scomparso il tabù post Tiananmen contrario a qualsiasi cosa ricordasse il culto della personalità.

La frequenza con cui il volto di Xi e le sue parole appaiono sulla prima pagina del Quotidiano del Popolo ha raggiunto i livelli più alti dai tempi in cui il culto della personalità di Mao era al suo apice. Nessuno degli scritti di Xi ha lontanamente raggiunto lo status di reverenza di cui gode il Libretto rosso di Mao. Eppure è significativo il contrasto tra la loro proliferazione durante il suo primo mandato – non solo in Cina ma anche nei volumi pensati per l’esportazione, come quelli in inglese intitolati The chinese dream (Il sogno cinese) e The great rejuvenation of the chinese nation (Il grande ringiovanimento della nazione cinese) – e il fatto che le raccolte di discorsi dei due immediati predecessori di Xi, Hu e Jiang Zemin, siano circolate solo dopo che erano usciti di scena.

La grande questione di questo congresso è dunque capire in che modo contribuirà alla massimizzazione del potere di Xi, che evidentemente è destinato a modellare il futuro della Cina.

Può darsi che Xi trasformi la politica cinese a sua immagine, ma i principali problemi con cui dovrà fare i conti sono in evidente continuità con quelli affrontati dai suoi predecessori. Gli ultimi cinque anni hanno tuttavia mostrato che il suo approccio è radicalmente diverso.

Ecco cinque questioni che si riveleranno cruciali per il secondo mandato di Xi e per il futuro della Cina.

  • Il futuro delle riforme di mercato

Nel 1992, il quattordicesimo congresso del partito promise imponenti riforme di mercato che avrebbero dato grande impulso alla crescita della Cina. Dopo anni di dibattito sul ruolo del mercato, la Cina fu trasformata in una “economia socialista di mercato”. Questa definizione rimane valida fino a oggi, ma il futuro delle riforme di mercato nel secondo mandato di Xi è molto incerto. Molto dipenderà dalla sua decisione di nominare o meno dei riformatori di mercato per ruoli-chiave quale il governatore della Banca popolare cinese e il Comitato permanente dell’ufficio politico del Partito comunista. La sua ossessione per il controllo e la stabilità economica contrasta però con l’approccio radicale di riformatori economici del passato come il primo ministro Zhu Rongij, che portò avanti dolorose ma necessarie riforme nei confronti delle aziende statali e sovrintese all’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto).

  • Il futuro delle riforme politiche

Nel 1987, il tredicesimo congresso di partito aveva presentato un ambizioso programma di riforme politiche che nella spiegazione del segretario generale dell’epoca, Zhao Ziyang, erano finalizzate a rendere la dirigenza cinese più pluralistica, trasparente e responsabile (pur evitando la democrazia multipartitica, come imposto da Deng Xiaoping). Oggi assistiamo a un indebolimento della società civile dopo anni di repressione politica e a un rafforzamento dell’autoritarismo. L’obiettivo delle riforme politiche all’interno del partito sembra esser stato soffocato dalla campagna anticorruzione di Xi, che ha effettuato purghe contro i suoi avversari politici ma anche contro funzionari corrotti.

  • Il futuro del settore privato in Cina

Nel 1997 il quindicesimo congresso del partito ha finalmente riconosciuto l’importanza per l’economia cinese dell’impresa privata, fino ad allora considerata una forza secondaria rispetto alle aziende di stato. Ed è vero: sebbene le più grandi aziende cinesi siano ancora quelle controllate dallo stato, l’economia è stata trainata dalla crescita del settore privato. Per fare un esempio tra i tanti, secondo un recente rapporto di McKinsey la Cina ha dato vita a un terzo del numero globale di start up tecnologiche unicorno (aziende private valutate più di un miliardo di dollari). Ma l’indipendenza futura del settore privato è fragile. Negli ultimi mesi il governo cinese ha effettuato un giro di vite su quegli imprenditori che sembrerebbero avviati a diventare degli oligarchi in stile russo. Ha inoltre cercato di frenare le acquisizioni all’estero, oltre che le attività delle principali aziende tecnologiche cinesi, come Alibaba e Tencent.

  • Il futuro di Hong Kong

Nel 1997 il quindicesimo congresso del partito ha celebrato il passaggio della sovranità su Hong Kong dal Regno Unito alla Cina: il territorio sarebbe stato amministrato secondo la politica di “un paese, due sistemi”. Nel 2012 e 2014 sono esplose delle proteste, confluite poi nel “movimento degli ombrelli” del 2014, che ha portato le lotte di Hong Kong all’attenzione del mondo. Eppure, in quegli anni il modello dei “due sistemi” è sembrato solido. Oggi, invece, l’elemento più preoccupante della questione di Hong Kong è quanto sia diventato fragile questo stesso modello. Joshua Wong, giovane leader degli attivisti di Hong Kong nel periodo precedente al diciottesimo congresso di partito del 2012, oggi è un prigioniero politico. Carrie Lam, succeduta a C.Y. Leung nel ruolo di chief executive di Hong Kong dal luglio di quest’anno (scelta tramite una procedura pilotata in modo da fare emergere una figura gradita a Pechino) ha invitato a enfatizzare i temi patriottici nelle scuole locali. Xi ha chiarito che è determinato a fare tutto quel che potrà per minimizzare le differenze tra le modalità di governo di Hong Kong e quelle delle altre città.

  • Il futuro dell’ideologia

Nel 1977, durante l’undicesimo congresso di partito, Hua Guofeng, successore designato di Mao, espresse la sua determinazione a “seguire gli insegnamenti del presidente Mao e a portare avanti fino alla fine la rivoluzione, sotto la dittatura del proletariato”. Ma il potente ruolo dell’ideologia nella politica cinese è sembrato annacquarsi negli anni successivi. Adesso l’ideologia è di ritorno. Xi ha ripetutamente invitato i dirigenti a leggere Marx, attribuendo grande importanza alle questioni ideologiche. Anche il presidente della commissione di controllo sugli investimenti bancari e finanziari, Liu Shiyu, ha promesso di svolgere il suo compito in linea con l’ideologia marxista.“Tutto il partito dovrebbe ricordarsi che quel che stiamo costruendo è il socialismo con caratteristiche cinesi, e non un’altra forma di -ismo”, ha enfaticamente dichiarato Xi lo scorso anno. Adesso ci si chiede se le idee di Xi assumeranno il ruolo “guida” riservato in passato alle ideologie di Mao e Deng.

La strada da percorrere
Questo rapido excursus nella storia recente, con un occhio sia alla continuità sia alle rotture, evidenzia che i cambiamenti degli ultimi cinque anni non sono né totalmente inediti né facilmente collocabili in un unico schema. Quella a cui abbiamo assistito è probabilmente solo l’inizio della nuova “nuova normalità” dell’era Xi.

Cinque anni fa, Xi era seduto ad ascoltare Hu Jintao mentre questi presiedeva il congresso del 2012. Quest’anno il palco sarà suo dall’inizio alla fine. Le strade di Pechino sono già piene di lodi alla sua importanza in quanto fulcro del sistema politico cinese e leader del suo “grande ringiovanimento”. Il congresso di partito di Xi (perché del “suo” congresso si è effettivamente trattato) prometterà questo “grande ringiovanimento” e altro ancora.

Tuttavia, dopo aver concentrato così tanto potere nelle sue mani il giudizio della storia sarà, in caso di fallimento, spietato. Non sarà facile tenere fede a promesse così elevate. E meno il potere è condiviso, meno sono le persone con cui condividere le colpe quando le cose vanno male.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato sul sito del network radiofonico statunitense National Public Radio.

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