Era cominciata con un botto ed è finita in sordina, con uno scandalo, due dimissioni immediate (l’allenatore e il presidente della federazione) e un morso che ha sconvolto il mondo.

Nel giro di pochi giorni il Mondiale dell’Italia è passato dal trionfo al disastro. Dopo una prima partita entusiasmante contro l’Inghilterra, ispirata dal maestro Pirlo, le altre due gare dell’Italia hanno offerto un calcio tra i peggiori della storia azzurra.

I giocatori sembravano vittime di una sorta di “doping al contrario”. Si muovevano al rallentatore e non riuscivano a neanche a passarsi la palla, tirare in porta o rientrare in difesa. Poche scivolate, nessun contropiede e un continuo affanno senza costrutto.

In queste due orribili partite la squadra non è riuscita a segnare nemmeno un gol, e l’incapacità di portare a casa un solo punto ha condannato l’Italia a uscire dal Mondiale, eliminata nella fase a gironi (per la seconda volta di fila) da un mediocre Uruguay e dall’emergente Costa Rica.

Il tracollo è stato devastante. Cesare Prandelli, l’uomo che due anni fa aveva portato l’Italia alla finale degli Europei, è caduto per i suoi errori, seguito a ruota (per la gioia di molti) dal presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete.

Qualcuno gli ha chiesto di ripensarci, ma Prandelli ha chiarito che la sua decisione è irrevocabile. Il commissario tecnico si è assunto la responsabilità per il fallimento, ed è effettivamente palese che abbia ceduto alla pressione (insieme ai suoi calciatori). Le sue scelte tattiche sono state sempre confuse, e i suoi costanti cambiamenti di uomini e modulo si sono rivelati controproducenti. La rischiosa decisione di convocare il genio imprevedibile Antonio Cassano si è dimostrata disastrosa e la fiducia dell’allenatore in Mario Balotelli non è stata ripagata. Prandelli è stato un buon commissario tecnico, ma al momento della resa dei conti ha fallito malamente.

(Ivan Alvarado, Reuters/Contrasto)

Balotelli, il capro espiatorio. Dopo l’eliminazione, la stampa italiana e i tifosi hanno cercato un capro espiatorio, e l’hanno trovato immediatamente. Nonostante abbia segnato il gol decisivo nell’unica vittoria dell’Italia, Balotelli ha subìto gli attacchi più pesanti. Uno dei motivi, naturalmente, è il suo colore della pelle. Tutti i suoi errori sono sempre stati amplificati dal suo ruolo (non scelto e non voluto) di principale rappresentante di una nuova generazione di neri italiani, figli e figlie di quei cinque milioni di immigrati che dalla fine degli anni ottanta hanno vissuto, lavorato e tirato su famiglia nel paese.

Il colore della pelle di Balotelli non è l’unico fattore da considerare. Nel calcio italiano la lealtà al club è sempre stata un elemento fondamentale dell’identità di milioni di cittadini. Una delle prime cose che scopri quando conosci un italiano è la sua fede calcistica (juventino, milanista, interista).

In passato, il tifo per la squadra di club passava in secondo piano quando giocava la nazionale, ma in questo momento di delusione mi sembra di notare un’inversione di tendenza. Balotelli è il capro espiatorio perché è nero, ma anche a causa del club in cui gioca e del suo passato. I tifosi della Juventus odiano Balotelli perché è stato uno dei simboli dell’Inter, la squadra che ha dominato il calcio italiano dopo lo scandalo di Calciopoli, che secondo i sostenitori della squadra di Torino nasce da un complotto organizzato in parte dai dirigenti nerazzurri. I tifosi dell’Inter non amano Balotelli perché è passato ai rivali storici del Milan, la squadra del cuore dell’attaccante.

In Italia ci sono più di 12 milioni di juventini e circa 5 milioni di interisti. In totale fanno 17 milioni di tifosi e nessuno di loro è particolarmente affezionato a Balotelli. Nei giorni del Mondiale brasiliano la fedeltà al club ha superato l’amore per la nazionale, specialmente dopo una delle più devastanti sconfitte nella storia del calcio italiano, quella con la Costa Rica (paragonabile soltanto alla disfatta contro la Corea del Nord del 1966, che fu sancita dai pomodori lanciati contro i giocatori al ritorno in Italia e da un estenuante dibattito andato avanti per mesi).

Il calcio italiano è arrivato a un punto di svolta? Il tifo per un club è ormai così forte da dominare ogni valutazione sulle prestazioni della nazionale? In questo momento mi sembra di scorgere la stessa tendenza in Inghilterra. In fondo per gli inglesi i Mondiali durano due partite ogni quattro anni (nel peggiore dei casi), e dunque sono un’esperienza profondamente deludente per tutti i tifosi.

Il sistema calcio è a pezzi. La sconfitta dell’Italia porterà sicuramente a un profondo esame di coscienza sugli enormi problemi strutturali che affliggono il sistema calcio. Il giorno della sconfitta con l’Uruguay il tifoso napoletano Ciro Esposito è morto in ospedale, dopo l’agguato a colpi di pistola che gli ha teso un ultras della Roma in occasione della finale di Coppa Italia dello scorso 3 maggio.

Gli stadi italiani sono brutti, vecchi e costosi, e il calcio è dominato da tifosi violenti che hanno l’inquietante tendenza a ricattare i club. L’anno scorso uno scandalo di scommesse e partite truccate ha coinvolto centinaia di giocatori e intermediari, ma la polvere è stata rapidamente nascosta sotto il tappeto. All’interno delle curve la politica è onnipresente, e ha un effetto deleterio. Dopo i Mondiali del 1990 non è stato fatto nessun investimento di rilievo, e alcuni degli stadi costruiti per l’occasione sono già stati demoliti.

In campo l’Italia ha schierato uno degli ultimi registi puri, Andrea Pirlo, ma perfino il giocatore della Juventus è il simbolo di un problema. Mentre le altre squadre si organizzavano per ostruire le sue linee di passaggio, Pirlo ha arretrato progressivamente la sua posizione per trovare spazi e al Mondiale l’Italia ha impiegato un’infinità di tempo per superare la metà campo. Nella partita contro la Costa Rica un passaggio perfetto di Pirlo ha lanciato Balotelli davanti al portiere, ma per il resto dell’incontro l’attaccante non ha mai ricevuto un pallone giocabile. La centralità di Pirlo è diventata una trappola mortale.

L’Italia non aveva un piano B, e alla fine non aveva più nemmeno un piano A. Gli azzurri farebbero meglio a ringraziare i denti di Suárez per aver distolto l’attenzione da un collasso tanto inaspettato quanto straordinario. Ora si apre il post Prandelli, ma ci vorrà molto più di un cambio di allenatore per risolvere questo disastro.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito su The Conversation con il titolo Balotelli is the scapegoat, but Italy faces a much deeper crisis.

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