L’imperatore Nerone suonava la lira mentre Roma bruciava. Il presidente statunitense Donald Trump invece calcava i suoi campi da golf mentre la California bruciava e mentre più di 200mila statunitensi morivano di covid-19, una malattia che poi ha contratto anche lui. Al pari di Nerone, Trump passerà alla storia come un politico di eccezionale crudeltà. Alla fine di settembre milioni di persone nel mondo si sono sorbite uno spettacolo di 90 minuti, spacciato per “dibattito presidenziale”, in cui Trump ha dimostrato di non essere degno della presidenza e ha fatto capire perché tanti dubitano perfino della sua salute mentale. Certo, in questi quattro anni tutto il mondo ha capito chi è questo bugiardo patologico. Quindi che razza di dibattito si può fare se uno dei due candidati non ha alcuna credibilità?

Quando gli è stato chiesto di commentare le recenti rivelazioni del New York Times, secondo cui nel 2016 e nel 2017 ha pagato solo 750 dollari di tasse sul reddito, Trump ha avuto una breve esitazione e poi ha risposto che ha versato “milioni” di dollari, senza mostrare prove. Ancor più inquietante è stato il suo rifiuto di denunciare i suprematisti bianchi e gruppi violenti come i Proud boys. Inoltre non ha assicurato che l’eventuale passaggio di poteri a un altro presidente sarà pacifico e ha cercato di delegittimare le elezioni. Il comportamento di Trump nelle ultime settimane ha rappresentato una minaccia diretta alla democrazia.

Sono cresciuto a Gary, nell’Indiana, e da bambino ho studiato le virtù della costituzione statunitense. Verso la fine degli anni novanta, quando ero capo economista della Banca mondiale, giravamo il mondo per fare lezioni sul buongoverno e spesso indicavamo gli Stati Uniti come esempio. Oggi non più. Trump e i suoi compagni di partito ci hanno ricordato quanto siano fragili le istituzioni del paese.

Il Partito repubblicano sta facendo la guerra alle istituzioni, ridisegnando i collegi elettorali a proprio vantaggio

Gli Stati Uniti sono un paese fondato sulle leggi, ma a far funzionare davvero il sistema sono le regole della politica. E in questi quattro anni Trump e i repubblicani hanno innalzato a nuove vette la violazione delle regole, perdendo la faccia e danneggiando proprio le istituzioni che dovrebbero difendere. Nel 2016, quando era candidato alla presidenza, Trump si è rifiutato di rendere pubbliche le sue dichiarazioni dei redditi. Da presidente ha ignorato i suoi conflitti d’interessi, ha tratto vantaggi tangibili dalla carica che ricopre, ha screditato gli scienziati indipendenti, ha ostacolato il diritto al voto e ha ricattato i governi stranieri per diffamare gli avversari politici.

Ora gli statunitensi si chiedono se la loro democrazia possa sopravvivere. In fondo, uno dei grandi timori dei padri fondatori era proprio che potesse saltare fuori qualche demagogo in grado di distruggere il sistema dall’interno. Il paese ha un compito difficile. Oltre alla pandemia fuori controllo, l’aumento delle disuguaglianze e la crisi climatica, c’è anche l’urgenza di salvare la democrazia. I repubblicani hanno dimenticato ormai da un pezzo il giuramento fatto all’entrata in carica, quindi le regole della democrazia dovranno essere rimpiazzate dalle leggi. Ma non sarà facile.

Le regole, quando vengono rispettate, sono spesso preferibili alle leggi perché si adattano meglio alle circostanze. Ma quando uno degli automobilisti non rispetta più le regole, bisogna mettere guardrail più resistenti. La buona notizia è che per farlo abbiamo già un piano. È il For the people act, approvato dalla camera nel 2019, che ha l’obiettivo di estendere il diritto di voto, fermare i tentativi dei partiti di ridisegnare a proprio vantaggio i collegi elettorali, rafforzare le regole e limitare l’influenza dei finanziatori privati sulla politica. Ma c’è una brutta notizia. I repubblicani sanno di essere sempre più in minoranza su quasi tutte le questioni politiche d’attualità: gli statunitensi chiedono controlli più efficaci sulla vendita delle armi, l’aumento dei salari minimi, nuove regole in materia di ambiente e di finanza, un’assicurazione sanitaria a prezzi abbordabili, l’aumento dei fondi pubblici per la scuola materna, un accesso più facile all’istruzione universitaria e limiti più stringenti al denaro in politica.

Questa volontà espressa dalla maggioranza dei cittadini mette i repubblicani in una posizione impossibile: non possono proporre il loro impopolare programma politico e al tempo stesso sostenere un sistema di governo onesto. Ecco perché oggi il partito sta facendo la guerra alla democrazia e sta condannando il paese al dominio permanente della minoranza, ridisegnando i collegi elettorali a proprio vantaggio.

Dato che i repubblicani hanno già fatto il patto con il diavolo, sarà difficile che appoggino qualsiasi tentativo di proteggere le istituzioni. Agli statunitensi resta un’unica scelta: far stravincere il Partito democratico alle elezioni di novembre. La democrazia statunitense è in bilico: se cade, i nemici della democrazia vinceranno in tutto il mondo.

(Traduzione di Marina Astrologo)

Questo articolo è uscito sul numero 1379 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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