Ci sarà una terza guerra in Iraq. Barack Obama lo ha confermato il 10 settembre, annunciando che gli Stati Uniti, con l’appoggio di una vasta coalizione internazionale, “distruggeranno lo Stato islamico” non solo in Iraq ma anche in Siria. Oltre ai bombardamenti, gli statunitensi armeranno le forze moderate dell’insurrezione siriana, che saranno addestrate in Arabia Saudita.
Disgustata dalla barbarie dello Stato islamico, la maggioranza degli statunitensi appoggia la decisione del presidente, e lo stesso vale per il congresso. Quella di Obama è una scelta giusta, perché il movimento terrorista sanguinario continua a seminare il terrore e la morte in Iraq minacciando direttamente la sicurezza di Europa e Stati Uniti. Davanti alle azioni dello Stato islamico sarebbe stato impossibile restare con le mani in mano. Tuttavia su questo intervento pesano due contraddizioni.
Innanzitutto l’azione di oggi non sarebbe stata necessaria se gli avvertimenti della Francia fossero stati presi in considerazione e se gli Stati Uniti non avessero rinunciato improvvisamente, un anno fa, a punire con i bombardamenti l’uso di armi chimiche da parte di Bashar al Assad, favorendo in questo modo l’ascesa dello Stato islamico. Senza il dovuto sostegno da parte delle democrazie occidentali, le correnti più moderate dell’insurrezione siriana hanno perso terreno a vantaggio dei fanatici, che hanno portato la guerra fino in Iraq. Oggi siamo costretti a intervenire appoggiando quelle stesse correnti dell’insurrezione siriana che combattono lo Stato islamico fin dall’inizio, e a cui Obama ha avuto il torto (al contrario di Hollande) di rifiutare il sostegno. Il passato non si può cambiare, ma questo errore peserà sul futuro quando emergerà la tentazione di coinvolgere anche Damasco nella coalizione contro lo Stato islamico e pugnalare un’altra volta i ribelli a cui oggi le democrazie chiedono aiuto.
La seconda ambiguità nasce dal fatto che l’azione militare si appoggerà sullo stato iracheno, o su ciò che ne rimane. Senza il sostegno di Baghdad l’intervento sarebbe impossibile dal punto di vista legale, perché è soltanto su richiesta del governo iracheno che gli aerei stranieri entreranno in azione. Dunque la coalizione sosterrà uno stato iracheno da cui di fatto i curdi sono già usciti e le cui due comunità rimaste, la maggioranza sciita e la minoranza sunnita, sono animate da sfiducia e risentimento reciproci. La coalizione si appoggerà su un paese spaccato e quasi inesistente, anche se il modo migliore per colpire lo Stato islamico sarebbe allontanarlo dai sunniti che sostengono il fanatismo solo per ottenere una forma di autonomia (se non l’indipendenza).
A questo punto non abbiamo più scelta, ma queste ambiguità peseranno molto, e molto presto.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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