Il disegno di legge sulla sicurezza approvato dalla camera e passato al senato è stato giustamente definito dall’associazione Antigone, da sempre attiva per i diritti delle persone in carcere, come “il più grande attacco alla libertà di protesta nella storia repubblicana”. Il testo, infatti, oltre a punire attivisti e attiviste che protestano pacificamente, criminalizza ulteriormente chi si trova già in strutture detentive o di trattenimento, dai centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) ai centri di accoglienza, alle prigioni.

Non è un caso che nel mirino del testo ci siano le persone migranti, ormai da anni identificate come minaccia per la sicurezza nazionale. Questo modus operandi prende il nome di crimmigration, ossia un fenomeno in cui diritto penale e diritto dell’immigrazione si sovrappongono attraverso l’inasprimento delle leggi. Il risultato è l’indebolimento, in alcuni casi perfino l’annientamento, dei diritti fondamentali degli stranieri.

In Italia, dove l’immigrazione è spesso erroneamente analizzata e gestita in ottica unicamente emergenziale, è possibile osservare come i processi di precarizzazione e criminalizzazione degli stranieri derivino da una “produzione endogena di irregolarità”, come si legge in I migranti sui sentieri del diritto (Giappichelli 2021).

Basti pensare al reato di immigrazione clandestina, com’è definito, secondo cui chi entra illegalmente in Italia “è punito con l’ammenda da 5mila a 10mila euro”. Nel testo emerge un lato punitivo che non tiene conto della povertà e della precarietà in cui si trovano spesso le persone arrivate nel paese; dell’assenza di vie legali per arrivarci; e del fatto che chi non ha un permesso di soggiorno non può farsi assumere, né ha un conto in banca, quindi non può pagare alcuna ammenda, rendendo inutile la legge.

Di conseguenza, non si punisce un fatto ma una condizione personale: è la persona migrante stessa che diventa reato, essendo definita come un pericolo sociale. Uno degli esempi più emblematici di crimmigration è la detenzione nei cpr. Ciò che da anni associazioni, giuristi e giuriste denunciano è la totale negazione dei diritti fondamentali delle persone rinchiuse, soprattutto alla luce della cattiva gestione dei centri, affidati a privati il cui unico scopo è massimizzare il profitto.

In un contesto in cui sono continuamente denunciate condizioni inumane e degradanti – dalla somministrazione sistematica di psicofarmaci agli abusi da parte delle forze dell’ordine, fino ai tentativi di suicidio – l’articolo 27 del disegno di legge prevede fino a quattro o cinque anni di carcere contro chi si ribella all’interno di queste strutture, pena che può arrivare a venti anni “nel caso di lesioni gravi o gravissime o morte di più persone”. Il testo inquadra come atti di resistenza non solo le rivolte vere e proprie, ma perfino la resistenza passiva, che potrebbe essere interpretata in modo ampio dalle forze dell’ordine. Si pensi per esempio allo sciopero della fame o, come è già successo, all’atto di cucirsi la bocca con ago e filo.

Il provvedimento si estende anche ai centri di accoglienza, dove si trovano le persone in attesa di chiedere asilo. È evidente la matrice puramente punitiva, di controllo e strutturalmente razzista di un provvedimento che punta ad annichilire le persone. Nei cpr, in particolare, dove gli stranieri sono spesso rinchiusi senza alcuna informazione sui propri diritti, mediazione linguistica e tutele, la resistenza – passiva e non – diventa di fatto l’unica modalità per essere ascoltati, insieme ad atti di autolesionismo, com’è evidenziato nei rapporti L’Affare cpr e Buchi Neri della Coalizione italiana libertà e diritti civili (Cild).

Un altro esempio emblematico di resistenza passiva è quello di Maysoon Majidi, attivista curdo-iraniana, attualmente in sciopero della fame, che da nove mesi è ingiustamente rinchiusa nel carcere di Reggio Calabria poiché accusata di essere scafista. Ormai da tempo la criminalizzazione degli stranieri tocca – tra gravi errori giudiziari e accuse senza fondamento, come dimostra il rapporto Dal mare al carcere – anche chi è identificato come chi durante la traversata era al timone della barca o semplicemente prestava soccorso ai compagni di viaggio. Proprio per quest’ultimo motivo, Majidi è considerata una criminale, benché sia fuggita dal regime iraniano in cerca di tutela.

Infine, l’articolo 32 del testo sulla sicurezza impedisce alle persone prive di permesso di soggiorno di comprare una sim per il telefono. Questa misura, oltre che essere discriminatoria e in pieno contrasto con l’articolo 15 della costituzione, non è che l’ennesima discriminazione che porterà a un’ulteriore emarginazione degli stranieri, impedendogli di poter comunicare con gli altri, potenzialmente anche con gli avvocati e chi li aiuta nel complicato iter di ottenimento dello stesso permesso.

Ancora una volta il governo si scaglia contro i diritti fondamentali delle persone straniere, facendo passare questo attacco per tutela della sicurezza nazionale. In realtà è l’ennesimo esempio di un sistema strutturalmente razzista, che non creerà altro che marginalità, senza di fatto agire a monte di quella “produzione endogena di irregolarità” sostenuta da leggi che in modo sistematico rendono precarie la condizione delle persone straniere in Italia.

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