1. Niccolò Agliardi, L’ultimo giorno d’inverno

“Se ci sarà qualcosa che m’infastidirà – e mi conosco, e ci sarà – è che tu non ti sarai nemmeno accorta che i viali di Milano saranno diventati rosa e bianchi ai lati; perché ancora ci si ostina a credere che Milano è una città dove mancano i colori”. Piccole epifanie ai bastioni di porta Venezia, in forma di recitativo su una base musicale prima soft, poi dolente e irruenta. Ci vuole fegato per metterlo in coda a un album; ma non è male ritrovare queste cose messe in musica. Vuoi vedere che esistono ancora i cantautori in grado di farlo.

2. Davide Van De Sfroos, Il camionista Ghost Rider

Curioso racconto country/camionistico in cui compaiono Johnny Cash, Woody Guthrie e Robert Johnson; e Jimi Hendrix cozza contro la dorsale adriatica, e il bello sta tutto in questo clash culturale. È incredibile che ogni tanto qualcuno prenda per nordista questo cantante-traghettatore che ama il suo vernacolo comasco e lo usa liberalmente come un’armonica a bocca dell’anima. Dal suo nuovo album Yanez, un salire e scendere di maree blues che ha fatto sbarcare Sandokan a Sanremo.

3. Alessandro Mannarino, L’era della gran publicité

Fuori Roma, sulla via Pasolina, ecco un altro tipetto cantautoriale con chitarra a carbonella, ammennicoli balcanici e gitanici, strascichi di vita controcorente. Da Supersantos, nuovo lavoro ambiziosamente sottotraccia che intreccia visioni apocalittiche, stornelli, serenate, saudade ciociara e rumbe salmastre da rom romaneschi. Viene voglia di giocarci a pallone in mezzo alle roulotte dei brutti sporchi e cattivi, almeno finché si sta all’interno dei suoi grandi accordi anulari, tra casal tzigano e tor fellina.

Internazionale, numero 891, 1 aprile 2011

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