1. Johnny Marr, Generate! Generate!

Liberi di incensare ogni lagnetta elettronica pseudo-new Yorke come manna: a ognuno i suoi miti britpop. Ma per sentire vibrare sei corde nelle vene, riecco uno dei maggiori artigiani del riff, forse il vero erede di Keith Richards. Negli Smiths, Johnny Marr aveva un Jagger di genio come Morrissey, da solo posteggia l’originalità nel portaombrelli dell’efficacia. E The messenger, suo primo vero album solista, è il brit rock con la chitarra in ferro battuto. Roba che può durare secoli invece di evaporare come l’ennesima coreografia a corredo d’un video.

2. Bonnot Tracanna Cecchetto, Right links

Un po’ calabrone Rimskij-Korsakov, un po’ Tutu, un po’ hip-hop jazzato alla Us3 o Gang­starr (con virtuosistica incursione del ragga rapper General Levy). Polverine blue sciolte in soluzioni ambient, space-age funky, sambuca & tonic. Funziona, l’assemblaggio di Walter Buonanno, soundmaster di Assalti Frontali, Tino Tracanna sax machine e prof di jazz al conservatorio, Roberto Cecchetto chitarrista ecletticoacustico. Insieme nell’album Drops, in equilibrio fine anni novanta tra ritmo e relax e Paolo Fresu alla tromba.

3. Marta sui tubi, Dispari

“I dischi che non capirai, i libri che non leggerai… Oscar Wilde e Sonic Youth, Motorpsycho e Mallarmé”. Soffrire solo quando ci si sente dispari? Be’, pezzone: giusto calibro, alla portata ma non scontato, a media luz e col banjo di sangue e i cori gregoriani .Complimenti! La canzone di cui incapricciarsi all’istante, in un album alti e bassi come Cinque la luna e le spine. Ah, erano a Sanremo? Ma dai? Eh, pure un mese fa. Come non detto, non ne parliamo più allora, liquidiamo con “si sono sputtanati gnegnegnè”. Be’ invece no, bravi: gabbato lo santo.

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