1. Rigo, Ti faccio sentire

Un bassone profondo e vissuto accompagna l’attacco vagamente beatlesiano (di quei Beatles psichedelici alla Dear Prudence) di uno dei pezzi migliori di Angeli e demoni, nuovo lavoro del rocker delle quattro corde che a lungo portava a spasso il Liga. È una ballata di “giorni da cantare, notti da buttare”, non è immediata da decifrare, né lenta né veloce, ma c’entra il vento e c’è il cuore, e non sono solo suoni vintage, è come un ambient blues con sintetizzatori sintonizzati sui passaggi di nuvole in fuga verso il capolinea dell’estate.

2. Green like July, Agatha of Sicily

Una canzone intitolata alla martire di Catania, ma che fa pensare alle minne di sant’Agata, deliziosi dolcetti, prima che al femminicidio cui sono ispirate. È un rock passito, morbido all’udito, beneducato, di gusto: sonorità curate dagli amici americani, ascendenze tra la California e il Nebraska; i midtempo dei bei tempi andati, riflessi ambrati, plaid in tartan, caminetto. Il secondo album della band alessandrina, Build a fire, è tutto dolcezza e niente martirio; la fiammella non serve a scopi incendiari, ma per fare una crème brulée come si deve.

3. Hjaltalín, Letter to (…)

Arriva l’età in cui ognuno finisce per aggrapparsi al proprio Sting o ai propri Sigur Rós; e intanto, al riparo dalla furia del ritmo e dalle maree della moda ci sono altri islandesi midtempo che spalmano le loro naturali tetraggini su telai un poco ambient, mai troppo prevedibili, attrezzati a volte con ritmiche dispari, a volte con archi e voci femminili; e sempre ad alta fedeltà malinconica, lungo un intero album, Enter 4, che è un’altra piccola vittoria di Reykjavík contro il resto del mondo, degli islandesi contro i venditori di almanacchi.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it