1. Magellano (con L’Orso), La canzone dell’ukulele
Ingredienti: un po’ di ukulele, cori fuori dal coro. Cantare armonizzando solo con chitarra. Farsi seguire da un’eterea voce femminile, che cerchi d’essere sensuale. E un coro bellissimo all’unisono in fadeout. Una canzone che mette in pratica se stessa (stile la bossa mononota di Elio) dalla genesi all’eventuale rivelazione. Da scuola dell’obbligo per chiunque pensi di percorrere il sentiero degli indie italiani. Dal trio genovese dell’Ex-Otago ex coniglio di Chiambretti, con l’album Calci in culo, umorale imbelinato e divertente come una giostra.
2. Cecco e Cipo, Orazio
Sbagliare il tempo della canzone, ma non la canzone, il coretto, le chitarrine e lo stufato che si sbaglia. “Andare in discesa o in salita”, stonato un po’ alla Jovanotti. Una canzone che mostra di aver messo in pratica i precetti dell’ukulele. Country rustico nell’album Lo gnomo e lo gnu, come Empoli fece questi due ragazzi-con-le-chitarre-acustiche che ogni tanto mettono il turbo alla trottola ma ricorrono a ukulele e crowdfunding per inseguire un’idea solare di musica in cui l’imperfezione è simpatica e i racconti ci sono e indipendentemente, si è positivi.
3. La rappresentante di lista, La rappresentante di lista
“Il cavolo del tuo giardino non sta bene nella mia minestra”. Apre così, asprigna come un kimchi, con qualcosa di Giovanna Marini nelle pieghe del canto, Veronica Lucchesi, metà (con Dario Mangiaracina) del duo tosco-siciliano che indaga tracce noir nelle tradizioni popolari non solo italiane, con un piglio viscerale (e uno sforzo pure di cantare magari ai tedeschi) e un album, (Per la) via di casa, che racconta delitti, cuori spezzati, sacchi nello stomaco non senza ricorrere alla semplicità accogliente del guitalele (sì, esiste).
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