Per alcuni è il “capitano Dreyfuss” del ventunesimo secolo, mentre per altri è un “traditore” che se l’è cercata. Di sicuro Julian Assange è uno dei personaggi più controversi della nostra epoca.
Ma non è tanto la personalità di questo australiano di 49 anni che sarà giudicata a partire dal 24 febbraio nel Regno Unito, quanto la richiesta di estradizione negli Stati Uniti, dove Assange rischia una condanna a 175 anni di prigione. Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani considerano pericolosa la richiesta di Washington.
La procedura, inconsueta, è stata resa possibile nel 2019 dall’arresto del fondatore di WikiLeaks all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra dove era rifugiato da sette anni. In questa vicenda confluiscono diverse problematiche, alcune antiche e altre nate dalla rivoluzione digitale: il segreto di stato e la trasparenza, il ruolo degli informatori e quello degli hacker, la libertà di stampa e le guerre d’influenza nell’epoca di internet.
La strage di Baghdad
Julian Assange è il fondatore di WikiLeaks, organizzazione apparsa sulla scena mondiale dieci anni fa rendendo pubblico un video girato da un elicottero statunitense durante un’operazione a Baghdad. Le immagini mostrano il pilota sparare contro un gruppo di persone, convinto che si tratti di combattenti. Il problema è che il pilota si sbagliava, e tra gli altri aveva ucciso due giornalisti dell’agenzia Reuters. Washington aveva nascosto il tutto, fino alla pubblicazione del video.
Successivamente, WikiLeaks, insieme a un gruppo di giornali tra cui il New York Times e Le Monde, ha reso pubblici migliaia di dispacci statunitensi sull’Afghanistan, in quella che è diventata la più massiccia fuga di documenti riservati della storia.
Queste rivelazioni, le cui ripercussioni sono state molto profonde, sono costate a Julian Assange 17 capi d’imputazione per furto di documenti secretati. Da allora il Pentagono, umiliato, reclama la sua testa.
I giornali che hanno apertamente collaborato con Assange non si erano sbagliati
La domanda a cui dovranno rispondere i giudici britannici è falsata dalla discutibile reputazione di Assange. I suoi critici, infatti, ricordano che si era rifugiato nell’ambasciata ecuadoriana per sfuggire all’accusa di stupro arrivata da un tribunale svedese, anche se la denuncia è stata successivamente ritirata. Altri non hanno digerito il ruolo problematico giocato da WikiLeaks durante le elezioni statunitensi del 2016, quando l’organizzazione aveva diffuso messaggi privati del Partito democratico evidentemente trafugati da agenti russi.
Tuttavia una procedura giudiziaria deve basarsi sui fatti, e i motivi per cui Assange è ricercato riguardano chiaramente la libertà di stampa. I giornali che hanno apertamente collaborato con Assange non si erano sbagliati.
Riassunta dall’organizzazione Reporters sans frontiéres, l’equazione può essere formulata in questo modo: “Il problema non è se amare o non amare Julian Assange. Il problema è se accettare o meno che un contributo al giornalismo venga assimilato allo spionaggio”. In questo senso l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti sarebbe una minaccia per il lavoro dei giornalisti.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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