Il 7 settembre Maria Kolesnikova, una delle leader del movimento di protesta in Bielorussia, camminava per le strade di Minsk quando alcuni uomini in abiti civili e passamontagna l’hanno prelevata e caricata a bordo di un furgone, portandola in un luogo sconosciuto. Le autorità bielorusse si sono rifiutate di confermare l’arresto. Altri tre militanti dell’opposizione sono scomparsi in circostanze simili.

Kolesnikova è una delle tre donne che gestiscono la campagna di Svetlana Tichanovskaja, candidata dell’opposizione contro il presidente Aleksandr Lukašenko. L’attivista aveva appena annunciato la creazione di un partito d’opposizione. Oltre a essere la principale personalità anti Lukašenko ancora a Minsk, Kolesnikova fa parte del consiglio di coordinamento creato per un ipotetico negoziato con il potere.

Alcuni video amatoriali girati il 6 settembre mostrano persone in abiti civili (anche in questo caso non identificati) nell’atto di picchiare brutalmente alcuni manifestanti, proprio mentre centinaia di persone protestavano contro Lukašenko nel centro di Minsk.

Nessun dialogo con l’opposzione
Questi metodi sono tipici di un regime con le spalle al muro e fanno temere il peggio per la rivolta bielorussa, rimasta finora pacifica nonostante la repressione seguita alle elezioni truccate del mese scorso.

Se il sequestro di Maria Kolesnikova è davvero opera del regime, come ritengono gli amici della donna, allora Lukašenko ha voluto mostrare di non essere disposto ad avviare il minimo dialogo con l’opposizione.

Il dittatore appare determinato a conservare il potere con la forza, anche se finora non è riuscito a piegare il più grande movimento di protesta che abbia dovuto affrontare nei ventisei anni del suo governo.

Colpire direttamente Lukašenko o lasciare una finestra aperta per una possibile mediazione?

A questo punto emergono due interrogativi. Il primo riguarda la posizione di Mosca, il cui sostegno sarà determinante per permettere a Lukašenko di conservare il potere (chissà con quale prezzo per la Bielorussia), mentre il secondo è legato alla reazione dell’Europa, che pur condannando il regime di Minsk sembra esitare sul da farsi.

L’Unione europea non ha riconosciuto i risultati delle elezioni presidenziali del 9 agosto, che ufficialmente hanno concesso una vittoria schiacciante a Lukašenko. I 27 hanno comunicato che imporranno rapidamente una serie di sanzioni contro le autorità bielorusse, in particolare quelle responsabili della repressione.

Ma la portata e l’obiettivo di questa sanzioni sollevano un problema. Bisognerà colpire direttamente Lukašenko o lasciare una finestra aperta per una possibile mediazione?

Gli europei non vogliono peggiorare la situazione creando una nuova crisi ucraina (in quel caso la Russia aveva reagito annettendo la Crimea), ma i fatti del 7 settembre dimostrano che la titubanza dell’Europa sta incoraggiando Minsk, e forse anche Mosca, a stroncare la protesta.

Alcuni paesi dell’Unione, come la Lituania dove si è rifugiata Svetlana Tichanovskaja, vorrebbero un sostegno chiaro dell’Europa ai difensori della democrazia. Ancora una volta, l’Europa deve dar prova di essere capace di raccogliere la sfida creata dalla sua stessa impotenza.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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