Da quando si è lanciato in politica, Donald Trump ha avuto un vantaggio sui suoi avversari: nessuno lo prende sul serio. Ma la verità è che Trump è ciò che dice e fa ciò che dice, e nessuno può essere sorpreso da quanto è accaduto in Campidoglio. Si è trattato dell’insurrezione più annunciata della storia, anche se alla fine si è risolta con un fiasco patetico che non impedirà a Joe Biden di diventare il nuovo presidente il prossimo 20 gennaio.
Il senso di tutto è contenuto nell’ultimo video prodotto da Trump alla Casa Bianca, mentre i suoi sostenitori invadevano il campidoglio. Trump li invita a tornare a casa, ma al contempo gli dice che li “ama” e ribadisce di essere stato privato illecitamente di una vittoria elettorale “travolgente”. È la definizione perfetta del pompiere piromane: da un lato tranquillizza, dall’altro aizza.
Donald Trump è responsabile non solo degli eventi del 6 gennaio, giorno in cui Joe Biden doveva essere confermato presidente dal congresso, ma anche di tutti i danni inflitti alla democrazia statunitense e di quelli, sicuramente carichi di conseguenze, arrecati al Partito repubblicano, uno dei due grandi partiti di governo.
Repubblicani paralizzati dalla paura
Trump aveva il diritto di contestare il voto presso i tribunali e di chiedere un riconteggio in alcuni stati. Ma resta il fatto che anche prima del 3 novembre il presidente non aveva voluto impegnarsi a garantire un trasferimento dei poteri senza scossoni in caso di sconfitta, e successivamente ha scelto di contestare il risultato al di là di ogni ragionevolezza.
Senza portare alcuna prova, Trump ha instillato l’idea di una democrazia tradita nell’animo di una parte dei suoi 74 milioni di elettori (soprattutto in quelli che appartengono alla frangia più estremista che abbiamo visto all’opera il 6 gennaio) alimentando nel frattempo le più inverosimili teorie complottiste.
Trump non ha saputo trasformare il suo capitale politico in una forza di progresso
Paralizzati dalla paura di perdere questa base, i leader repubblicani lo hanno lasciato fare, e questa è una colpa che pagheranno a lungo. Il leader repubblicano al senato Mitch McConnell ha tentato di salvare l’onore all’ultimo momento, dichiarando in apertura della sessione del 6 gennaio che non si sarebbe opposto alla conferma della vittoria di Biden e aggiungendo che nessuna elezione potrebbe mai più essere accettata nel paese se il congresso decidesse di opporsi alle decisioni dei tribunali e degli stati.
Questa viltà mantenuta per troppo tempo dai repubblicani più ragionevoli ha permesso il caos del 6 gennaio e ha indebolito la democrazia americana.
I limiti del populismo
La lezione più importante che possiamo trarre dagli avvenimenti di Washington riguarda il fallimento di un “momento populista” negli Stati Uniti. Trump aveva incarnato una rivolta elettorale contro un sistema che genera fin troppe disuguaglianze, simboleggiato da Hillary Clinton nel 2016.
Ma Trump non ha saputo trasformare questo capitale politico in una forza di progresso, facendone piuttosto uno strumento al servizio di un potere personale e incoerente. La sua radicalizzazione degli ultimi mesi gli lascia come alleate solo le frange più estremiste del nazionalismo bianco e tutti gli opportunisti che pensano esclusivamente alle prossime elezioni.
Tutto questo ha ormai perso ogni legame con la rivolta elettorale del 2016, e dimostra ancora una volta i limiti dell’ondata populista che ha colpito una parte del mondo.
Joe Biden si considera come l’uomo della riconciliazione in un paese diviso. Il trauma delle immagini del 6 gennaio, probabilmente, lo aiuterà a rimettere insieme i pezzi di un’America scombussolata.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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