È una zona di conflitto rimasta fuori dai radar, ma in cui un attacco spettacolare ha appena rivelato tutta la portata della crisi latente. È successo nell’estremo nord del Mozambico, l’ex colonia portoghese affacciata sull’oceano Indiano. Nel paese troviamo un cocktail esplosivo: grande povertà, le più abbondanti riserve di gas off shore del mondo (per cui la francese Total ha una concessione) e una minoranza musulmana dove si sta insinuando il jihadismo.
Una settimana fa la città di Palma, nella provincia di Cabo Delgado, ai confini con la Tanzania, è stata attaccata da centinaia di ribelli armati. Appartengono al gruppo chiamato Al Shabab, i giovani, comparso nel 2017 e alleato del gruppo Stato islamico (Is), ben presente in Africa.
L’attacco non avrebbe guadagnato le prime pagine dei giornali se non fosse vicino al giacimento che stanno esplorando la Total e i suoi subappaltatori. È il più consistente investimento del momento in Africa, del valore di venti miliardi di dollari. L’azione, secondo le informazioni che lentamente cominciano a filtrare, avrebbe provocato un numero imprecisato di morti, seminato il panico e mostrato tutte le fragilità nella sicurezza del paese.
Gli “shabab” hanno inoltre messo in chiaro che la loro forza distruttiva va oltre la capacità di terrorizzare la popolazione o di portare a termine qualche attacco sporadico.
Molti interrogativi
Il risultato più immediato dell’attentato è stato quello di spingere la Total a rinviare la ripresa delle attività, che erano già state sospese per ragioni di sicurezza tre mesi fa. È un duro colpo per l’economia mozambicana e per la credibilità del governo di Maputo.
Come hanno fatto poche centinaia di esponenti di questo gruppo jihadista – certamente meglio armati rispetto a uno o due anni fa, quando potevano contare solo sui machete – a mettere in scacco un paese e il suo esercito? A questo punto sono molti gli interrogativi sulla risposta del governo alla sfida lanciata dai ribelli.
Come sempre, l’etichetta “Stato islamico” ci acceca e ci spinge a vedere solo la dimensione della battaglia globale con la sfera jihadista. Ma dietro il “ franchising” jihadista esiste un contesto locale, quello dei giovani emarginati, degli enormi investimenti che non portano benefici alla popolazione, di una corruzione documentata e dell’indifferenza di un governo la cui sede si trova 2.300 chilometri più a sud.
La risposta di Maputo è stata principalmente un aumento delle misure di sicurezza. Il Mozambico aveva inizialmente fatto appello ai mercenari russi del gruppo Wagner, 160 uomini arrivati nel 2019 ma ripartiti dopo aver accusato alcune perdite. I russi sono stati sostituiti dai mercenari sudafricani del Dyck advisory group (Dag), che dispongono addirittura di elicotteri d’assalto. A tutto questo si aggiunge l’addestramento dell’esercito mozambicano da parte delle forze militari statunitensi e portoghesi.
Tuttavia, come in Sahel, la risposta non può essere unicamente militare, e bisogna affrontare problemi sociali troppo a lungo ignorati. Come in Sahel, in Nigeria o in Somalia, anche in Mozambico il jihadismo prospera dove lo stato è impreparato.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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