“Sono venuto con tre richieste precise”, ha dichiarato il 7 aprile il ministro degli esteri ucraino Dmytro Kuleba al suo arrivo al vertice della Nato a Bruxelles. “Armi, armi e armi”.
Si tratta evidentemente di un ingresso teatrale, ma che ha il merito della chiarezza. Gli ucraini hanno capito fin dall’inizio che nessuno farà la guerra al posto loro. Joe Biden, “comandante in capo” della Nato, lo ha detto prima ancora che fosse sparato il primo colpo.
Ma almeno, dicono gli ucraini, dateci i mezzi per continuare la nostra battaglia, perché combattiamo anche per voi. Più la guerra va avanti e più questo modo di presentare la situazione guadagna sostegni in occidente, soprattutto dopo le immagini dei massacri attorno a Kiev e i racconti da Mariupol, che rischiano di perseguitare a lungo le coscienze degli europei.
Un limite invalicabile
A questo punto il problema non è capire se bisogna consegnare armi agli ucraini, perché l’occidente lo fa già. Il punto è stabilire quali armi e fino a dove spingersi.
Fin dall’inizio del conflitto i paesi occidentali hanno voluto evitare di essere considerati come “co-belligeranti”, ovvero di entrare formalmente in guerra con la Russia, potenza nucleare (e non ci stancheremo mai di ricordarlo). Questo aspetto resta un limite invalicabile.
Ma dopo sei settimane di scontri, questa sottigliezza giuridica appare sempre più astratta. I paesi occidentali hanno già consegnato all’Ucraina quantità importanti di armi “difensive” (altra acrobazia diplomatica) e hanno imposto una serie di sanzioni che rappresentano evidentemente gesti ostili nei confronti della Russia.
Una sconfitta delle forze ucraine in Donbass permetterebbe a Vladimir Putin di cantare vittoria
Gli ucraini sono perfettamente consapevoli del fatto che nonostante la loro mobilitazione non avrebbero mai potuto tenere testa all’esercito russo senza i missili anticarro, i droni o le informazioni satellitari fornite dai paesi della Nato. Gli ucraini si apprestano a entrare in una fase decisiva della guerra con la concentrazione di forze russe nel Donbass, dove si trova buona parte dell’esercito ucraino. Una sconfitta delle forze ucraine su questo fronte permetterebbe a Vladimir Putin di cantare vittoria, anche se il suo piano iniziale è fallito. Per l’Ucraina e per la Nato sarebbe un disastro.
L’esercito ucraino chiede dunque mezzi supplementari per resistere agli assalti che arriveranno, e così i tabù vengono infranti. Negli ultimi giorni la Repubblica Ceca ha discretamente consegnato carri armati di origine sovietica T-72, provenienti dal suo esercito e spediti in treno in Ucraina. Evidentemente Praga ha ottenuto l’autorizzazione degli statunitensi.
La settimana scorsa gli emissari ucraini discutevano a Istanbul della consegna di nuovi droni di fabbricazione turca con Selçuk Bayraktar, il capo progettista dell’azienda produttrice Baykar, nonché genero del presidente turco Erdoğan. L’anno scorso gli stessi droni sono stati decisivi a vantaggio dell’Azerbaigian nel conflitto contro l’Armenia.
Gli iniziali pudori rispetto all’invio di armi più pesanti all’Ucraina stanno dunque scomparendo, anche se nessuno vuole dirlo ad alta voce. Non tutti gli stati della Nato sono sulla stessa lunghezza d’onda, ma nessuno vuole passare alla storia come il paese che ha impedito all’Ucraina di difendersi. Il fantasma della guerra di Spagna, a quanto pare, fa ancora paura.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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