C’è un paese che da trent’anni è ossessionato da Michail Gorbačëv e dal modo in cui l’Urss è implosa e il Partito comunista ha perso il potere. Questo paese non è la Russia, ma la Cina.
Il trauma del crollo dell’Unione Sovietica ha colpito duramente il Partito comunista cinese (Pcc), la più grande forza politica marxista-leninista ancora al potere. Anche se il partito sovietico e quello cinese non erano più “partiti fratelli” dallo scisma della fine degli anni cinquanta, dovevano comunque affrontare le stesse sfide incentrate sulla modernizzazione economica e il controllo politico. La fine di uno non poteva certo lasciare indifferente l’altro.
Il Pcc ha analizzato e sezionato le ragioni del crollo sovietico, traendone un insegnamento preciso: il “gorbacevismo” è stato una maledizione, un’eresia da cui il partito di Mao dev’essere protetto a ogni costo. Dal 1992 un film che racconta le cause del fallimento sovietico è stato mostrato a tutti i quadri del partito durante sessioni di studio obbligatorie.
Malattia letale
Trent’anni dopo, il Pcc ha ritenuto che fosse necessaria una puntura di richiamo: a febbraio un documentario ufficiale intitolato Nichilismo storico e disintegrazione dell’Unione Sovietica ha proposto nuovamente il processo al “gorbacevismo” lodando i meriti di… Vladimir Putin.
Le critiche cinesi sono di due tipi. Prima di tutto contro la glasnost (la trasparenza) e le riforme politiche che hanno indebolito il controllo del partito nel momento in cui cercava di introdurre riforme economiche difficili. In secondo luogo c’è quella che la Cina chiama “fascinazione dell’occidente” da parte di Gorbačëv, una malattia letale dal punto di vista di Pechino.
La Cina ha vissuto la sua tentazione “gorbaceviana” nel 1989 in occasione delle proteste di piazza Tiananmen
All’annuncio del decesso dell’ultimo presidente sovietico, uno dei commentatori più aggressivi del regime, il giornalista Hu Xijin, ha dichiarato di ritenere Gorbačëv responsabile della guerra in Ucraina per aver provocato la scomparsa dell’Unione Sovietica.
Il quotidiano di Hong Kong South China Morning Post ha spiegato che Gorbačëv ha insegnato alla Cina comunista come sopravvivere. In un certo senso non si tratta di un’affermazione falsa.
La Cina ha vissuto anch’essa una tentazione “gorbaceviana” nel 1989, in occasione della primavera di Pechino. Il segretario generale del partito Zhao Ziyang era favorevole al negoziato con gli studenti che occupavano piazza Tiananmen e alle riforme politiche. Contro di lui si era schierato il primo ministro Li Peng, sostenitore della linea dura.
A decidere fu l’ex dirigente Deng Xiaoping, che scelse la forza. Conosciamo tutti il seguito: il massacro del 4 giugno 1989 e l’allontanamento di Zhao Ziyang, potenziale “Gorbačëv cinese” relegato agli arresti domiciliari fino alla morte, quindici anni più tardi.
Da allora ogni volta che è emerso un nuovo leader del Partito comunista cinese, gli occidentali si sono chiesti se potesse rivelarsi un nuovo Gorbačëv. E ogni volta i fatti hanno dimostrato il contrario.
Poco dopo la nomina alla guida del partito, nel 2012, l’attuale numero uno Xi Jinping ha spiegato ai quadri che l’unico rimedio per evitare di seguire il destino dell’Urss era il ritorno alla “disciplina leninista”. Xi ha mantenuto gli impegni presi e oggi, forte del suo potere assoluto, si prepara a dare il via al suo terzo mandato in occasione del ventesimo congresso del partito, in programma a ottobre. Xi, di sicuro, ha dimostrato di non essere affatto un “Gorbačëv cinese”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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