L’Europa somiglia sempre di più a un cruscotto in cui le spie si accendono una dopo l’altra per segnalare un pericolo. I 47 paesi della Comunità politica europea (Cpe), organizzazione informale che riunisce l’Unione europea e tutti i paesi vicini, si ritrovano il 5 ottobre a Granada, in Spagna, in un momento in cui le crisi si moltiplicano.
Ucraina, Armenia, Kosovo: i tre focolai di guerra o di conflitto alle porte dell’Unione entrano prepotentemente nel programma di questo terzo vertice dell’organizzazione. La Cpe è stata creata proprio per occuparsi delle vicende relative al continente allargato, ma al momento sembra del tutto sprovvista delle risorse necessarie per spegnere gli incendi.
L’Ucraina è un caso a parte, con una guerra ad alta intensità che è affrontata coinvolgendo direttamente i leader dei vari paesi. Detto questo, gli europei dovranno cominciare a riflettere seriamente su quello che sta accadendo negli Stati Uniti, dove gli aiuti a Kiev potrebbero diventare una vittima collaterale della crisi politica. La destituzione dello speaker della camera dei rappresentanti, sacrificato sull’altare dello scontro tra i repubblicani, preannuncia giorni turbolenti.
L’Europa è in grado di raccogliere il testimone nel caso di una paralisi statunitense? Sembra difficile, anche se collettivamente i ventisette stati membri forniscono ormai più aiuti all’Ucraina rispetto agli Stati Uniti. Questo, infatti, non impedisce a Washington di mantenere una posizione di leadership che in Europa, parliamoci chiaro, non esiste.
Come se non bastasse, l’Europa deve affrontare altre due crisi che mettono alla prova le sue capacità politiche e operative, in Armenia e in Kosovo. L’Unione europea aveva avuto l’ambizione di ricoprire un ruolo nello scontro tra Armenia e Azerbaigian: osservatori europei erano stati inviati sul posto e il governo di Baku si era impegnato a non attaccare il Nagorno Karabakh. Sappiamo tutti com’è andata a finire, con l’esercito azero che ha riconquistato il Karabakh in 24 ore, costringendo tutti gli abitanti a scappare.
Oggi l’attenzione si sposta sull’Armenia, doppiamente minacciata dall’Azerbaigian e dal voltafaccia russo. La Francia ha annunciato un aiuto militare difensivo per l’Armenia, ma sembra isolata. Al vertice di Granada ci saranno due assenti di spicco, il presidente azero Ilham Aliyev e il suo alleato turco Recep Tayyip Erdoğan. Un pessimo segnale.
La stessa preoccupazione circonda il Kosovo. Negli ultimi giorni, infatti, si è verificato un brusco aumento della tensione tra Belgrado e Pristina, con scene di guerra dovute all’azione di un commando arrivato dalla Serbia. Anche in questo caso gli europei fanno da mediatori, ma non riescono a superare gli ostacoli. La crisi risulta tanto più frustrante se consideriamo che gli europei incolpano il Kosovo delle tensioni politiche, anche se sono i serbi a essere passati all’azione armata.
L’Unione europea ha abbastanza coerenza diplomatica e capacità di pressione per affrontare queste crisi multiple? La risposta, finora, non è convincente, anche considerando che il punto in comune delle tre crisi alla periferia dell’Europa è la Russia: aggressore in Ucraina, indifferente in modo colpevole in Armenia e piromane nei Balcani.
Nel corso degli ultimi due anni i ventisette paesi membri hanno avviato la propria trasformazione in potenza geopolitica, ma siamo ancora lontani dall’obiettivo. Ce ne accorgeremo sicuramente a Granada, nel quadro di una comunità politica appena nata e già alle prese con sfide quasi insormontabili.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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