I principali paesi occidentali hanno un problema: le loro prese di posizione a sostegno di Israele, logiche e giustificate dopo l’orrore dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, si trovano di fronte alla portata e ai metodi della risposta israeliana a Gaza. C’è una grande distanza tra le loro posizioni nei due casi, e questo li costringe in una posizione scomoda, che rischia di aggravarsi quando Israele lancerà la sua offensiva di terra.
Le manovre diplomatiche sono già cominciate. Il 15 ottobre il segretario di stato americano Antony Blinken ha chiesto a Israele di “fare il possibile per risparmiare i civili”, mentre Emmanuel Macron ha fatto presente a Benjamin Netanyahu che Israele deve rispettare “il diritto internazionale umanitario”.
Ma queste puntualizzazioni diplomatiche sembrano troppo inadeguate di fronte al modo in cui sta agendo l’esercito israeliano, che ha ordinato a più di un milione di palestinesi di lasciare il nord della Striscia di Gaza, intimato agli ospedali di evacuare i pazienti, tagliato la corrente elettrica e bombardato zone urbane. Per non parlare delle dichiarazioni incendiarie, come quelle in cui il ministro della difesa israeliano definisce “animali umani” quelli contro cui il suo governo combatte, annunciando rappresaglie; o quelle del ministro senza portafoglio Gideon Saar, che ha detto apertamente di voler sottrarre territori a chi ha aggredito Israele.
Gli occidentali sostengono il diritto a difendersi di Israele, e chiaramente le atrocità del 7 ottobre gli conferiscono questo diritto e, tra l’altro, la popolazione israeliana lo pretende. Ma resta il fatto che nessun paese può ignorare il diritto internazionale, che vieta le punizioni collettive. Esattamente quello che sta succedendo a Gaza.
Negli ultimi otto giorni il paragone con gli attacchi dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti è stato spesso riproposto. Oltre a essere calzante per lo shock provocato, però, rischia di esserlo anche per la reazione del paese colpito. La guerra contro il terrorismo ha portato gli statunitensi all’impasse in Iraq e Afghanistan, e a violare il diritto internazionale con la tortura dei prigionieri, il carcere di Guantanamo e l’invasione dell’Iraq senza l’avallo dell’Onu. Da allora gli Stati Uniti e il mondo hanno vissuto due decenni disastrosi.
Le diplomazie occidentali sono in bilico tra la legittima solidarietà a un paese colpito e la difficoltà a limitarne la risposta.
Israele, come sappiamo bene, non si lascia influenzare facilmente. Oggi la ferita del 7 ottobre è così profonda che niente sembra poter fermare la vendetta contro la Striscia di Gaza. Il massimo che la Casa Bianca è riuscita a ottenere è il ripristino della fornitura idrica nel sud del territorio palestinese.
Tra l’altro non tutti sono sulla stessa lunghezza d’onda, come si vede in Europa, dove il viaggio in Israele della presidente della commissione Ursula von der Leyen non è stato apprezzato da tutti, tanto che per mettere un po’ d’ordine potrebbe essere organizzato un vertice europeo straordinario.
Nei prossimi giorni la diplomazia europea e quella statunitense chiariranno le loro posizioni rispetto a quello che succede a Gaza. Ma il rischio è che sia troppo tardi e troppo poco per cancellare la sensazione che la sofferenza israeliana abbia avuto un peso molto maggiore rispetto a quella dei palestinesi. Sarebbe molto meglio poter condannare con la stessa forza il terrorismo e le sofferenze inflitte ai palestinesi.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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