La Polonia ha appena illustrato la differenza tra un regime “illiberale” e una dittatura. Il partito al potere nel paese, Diritto e giustizia (più conosciuto con la sua sigla Pis), risponde perfettamente alla definizione di “illiberale” usata così spesso negli ultimi anni. Nel corso degli anni, infatti, ha minato l’indipendenza della magistraturea e ha ridotto la libertà di stampa.

Ma il 15 ottobre il partito nazional-populista ha comunque perso le elezioni politiche, superato da un fronte di opposizione guidato dall’ex primo ministro ed ex dirigente dell’Unione europea Donald Tusk. I risultati non sono ancora confermati, anche a causa dei tentativi spesso grossolani di screditare Tusk.

La sconfitta relativa del Pis, che ha mantenuto i voti ma ha assistito al crollo del potenziale alleato di estrema destra, segna un momento politico importante per l’Europa. Prima di tutto perché la Polonia è il principale paese dell’Europa centrale, con circa 40 milioni di abitanti, e registra una forte crescita economica. Ma l’euroscetticismo a volte estremo del Pis ha impedito a Varsavia di ricoprire il ruolo di primo piano a cui avrebbe potuto aspirare.

Linea di frattura
La Polonia si è ritrovata in prima linea, non solo come “hub” per le forniture di armi occidentali all’Ucraina ma anche nel tentativo di ottenere un maggiore impegno dell’Unione a sostegno di Kiev. Per questo molti sono rimasti stupiti dalla crisi della scorsa estate, quando il governo polacco ha attaccato quello ucraino a proposito dei cereali ucraini che hanno fatto crollare il prezzo in Polonia. Si trattava di una manovra elettorale, che però non è bastata a salvare il Pis.

Dopo aver aumentato il budget della difesa fino al 4 per cento del Pil (il doppio rispetto alla Francia), la Polonia ha tutte le caratteristiche per ritagliarsi uno spazio importante in questa Europa centrale che la storia e la geografia hanno posizionato su una linea di frattura geopolitica.

Perché la Polonia potesse finalmente prendere il posto che le spetta in Europa mancava solo che il paese si dotasse di un governo affidabile e non sottomesso alle pericolose fobie del leader del Pis Jaroslaw Kaczynski, il cui fratello, l’ex presidente Lech Kaczynski, è morto nel 2010 in un incidente aereo mentre si recava in Russia. Ora è quello che potrà accadere.

Dal ritorno del Pis al potere, nel 2015, la Polonia è diventata una società polarizzata, con le grandi città controllate dall’opposizione liberale e le zone rurali e i centri minori dominati dai conservatori. Il Pis ha spaccato il paese prendendo di mira l’aborto, la minoranza lgbt, la magistratura, i migranti e Bruxelles, indicata come una nuova Mosca.

Il sussulto del 15 ottobre, con un’affluenza da record e l’avanzata dei partiti liberali e di centrodestra, mostra che la maggioranza vuole un futuro europeo. Questa vittoria è arrivata a scapito delle paure della società e di un sovranismo che si presentava come protettivo e rassicurante.

È chiaramente un risultato significativo sulla scena politica del continente. Dieci giorni fa la Slovacchia ha fatto la scelta opposta rieleggendo Robert Fico, populista filorusso che per governare si alleerà con l’estrema destra. Questi risultati contrastanti indicano un paesaggio politico in continuo divenire.

Il prossimo test saranno le elezioni europee di giugno. Ma già oggi la sconfitta del Pis è una pessima notizia per il primo ministro ungherese Viktor Orbán, che continua a sognare di far saltare il banco dell’Unione a beneficio degli euroscettici. Anche se Varsavia e Budapest non avevano le stesse opinioni sulla Russia, Orbán ha comunque perso un alleato di peso nella sua battaglia contro Bruxelles.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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