Bisogna internazionalizzare la guerra tra Israele e Hamas per evitare che diventi un massacro? È quello che ha proposto a sorpresa, senza dirlo in modo così diretto, il presidente francese Emmanuel Macron il 24 ottobre, in occasione della sua visita in Israele e in Cisgiordania.

Macron, a cui peraltro è riuscito un numero di equilibrismo tra la solidarietà a Israele e la riaffermazione dei diritti dei palestinesi, ha presentato un’idea nuova: una coalizione internazionale contro Hamas sul modello (magari esteso) di quella formata per contrastare il gruppo Stato islamico (Is).

La proposta del presidente francese ha qualcosa di sorprendente, perché la coalizione contro l’Is comprende, oltre agli occidentali, anche i principali paesi arabi, che difficilmente si schiererebbero al fianco di Israele in un momento in cui lo stato ebraico bombarda impietosamente la Striscia di Gaza.

Quest’idea sembra essere stata improvvisata, come dimostra il fatto che è stata ricalibrata diverse volte durante la giornata. In definitiva si tratterebbe più di condividere le informazioni, controllare i flussi finanziari e imporre sanzioni invece di entrare in guerra a sostegno di Israele. Detto questo, la proposta pone comunque diversi interrogativi.

Prima di tutto bisogna contestualizzare. Dal 7 ottobre Israele bombarda Hamas e la popolazione civile palestinese di Gaza, ammassando nel frattempo le sue truppe in vista di un’imminente operazione di terra che potrebbe essere ancora più sanguinosa in un territorio densamente popolato.

Un intervento del genere rischia inoltre di scatenare un’escalation nella regione. Il partito filoiraniano libanese Hezbollah e i ribelli houthi dello Yemen hanno già lanciato diversi missili in direzione di Israele, intercettati dagli statunitensi.

Gli appelli rivolti a Israele affinché rispetti il diritto internazionale umanitario si scontrano con la rabbia suscitata nel paese dal trauma del 7 ottobre. In questo senso l’allargamento della lotta contro Hamas all’intera regione sarebbe un modo per “inquadrare” la risposta israeliana “nei parametri” del diritto internazionale. Resta il fatto che al momento “inquadrare” Benjamin Netanyahu appare un’impresa difficile.

Più in generale la proposta di Macron si scontra contro tre ostacoli. Il primo è che non ha alcuna possibilità di successo se gli Stati Uniti non la sostengono, perché solo Washington ha la necessaria influenza su Israele. Il secondo è che i paesi arabi della regione, a prescindere dalla loro posizione, sono scossi dalle proteste della popolazione davanti alla tragedia di Gaza. Il terzo è che equiparare il gruppo Stato islamico e Hamas non può funzionare fino a quando la questione palestinese continuerà a essere ignorata, come lo è da troppo tempo.

È su questo punto che l’intervento di Macron risulta più azzeccato. Il presidente francese è stato infatti il primo leader straniero a dire chiaramente dopo il 7 ottobre, a Gerusalemme ma anche a Ramallah, che una soluzione politica è “più che mai necessaria” e che passa dalla creazione di due stati. Di sicuro Macron ripeterà lo stesso messaggio il 25 ottobre ad Amman.

Era importante ribadire questo concetto, dopo anni di indifferenza della comunità internazionale, che ha lasciato campo libero alla colonizzazione. Ma bisognerà preparare il campo prima che i paesi della regione possano impegnarsi realmente in questa direzione. A condizione che prima non si verifichi la temuta escalation regionale.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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