Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, è un uomo affabile che solitamente evita le polemiche. Eppure il 25 ottobre il governo israeliano ha chiesto le sue dimissioni e ha deciso alcune ritorsioni contro l’Onu. È uno scontro insolito che evidenzia il clima di tensione creato dalla guerra in Medio Oriente.
La causa della reazione israeliana è una dichiarazione rilasciata da Guterres il 24 ottobre al Consiglio di sicurezza dell’Onu. L’ex primo ministro portoghese ha affermato che l’attacco terrorista portato da Hamas il 7 ottobre non è un episodio isolato, ma va letto nel contesto di “un’occupazione soffocante” durata 56 anni, aggiungendo che “le sofferenze del popolo palestinese non possono giustificare gli attacchi spietati di Hamas” ma anche che “gli attacchi di Hamas non possono giustificare la punizione collettiva inflitta al popolo palestinese”.
Guterres ha pesato attentamente le sue parole e non ha in alcun modo giustificato le azioni di Hamas, cosa di cui lo accusa Israele. Ricordare un contesto non significa certo giustificare un crimine. Ma è chiaro che il segretario, che parla a nome dell’organizzazione mondiale e non di un paese occidentale, si è espresso in modo molto più franco dei leader europei o americani, che dopo il 7 ottobre hanno rilasciato dichiarazioni molto meno nette.
L’aggressività della reazione dello stato ebraico, che ha chiesto le dimissioni di Guterres, deriva dalla portata del trauma che ha colpito il paese dopo l’attacco di Hamas. Gli israeliani sono ancora sotto shock e non sono pronti a sentire critiche che vengono percepite come giustificazioni del terrorismo.
Ma questa non è l’unica spiegazione. Il segretario generale dell’Onu non si è limitato ad analizzare il passato, ma ha denunciato anche il presente, ovvero il modo in cui Israele conduce la sua guerra nella Striscia di Gaza. “Anche la guerra ha le sue regole”, ha ricordato Guterres invitando tutte le parti, nel caso specifico Israele, a rispettare il diritto internazionale umanitario.
Impotente sul piano politico, l’Onu è nelle condizioni migliori per giudicare l’aspetto umanitario, anche perché la sua organizzazione specializzata, l’Unrwa, garantisce dal 1948 un’assistenza vitale a circa cinque milioni di palestinesi, anche nei paesi vicini. A Gaza 600mila sfollati sono sotto la protezione dell’Onu. Nelle ultime due settimane 35 dipendenti dell’organizzazione sono morti sotto le bombe israeliane.
Il 25 ottobre Israele ha annunciato di aver negato un visto al capo delle operazioni umanitarie e di emergenza della Nazioni Unite, Martin Griffith. “È il momento di dargli una lezione”, ha dichiarato l’ambasciatore di Israele all’Onu Gilad Eedan.
Anche in questo caso la crisi non nasce da un episodio isolato. I rapporti tra l’Unrwa e Israele sono conflittuali da tempo. L’Onu è uno scomodo testimone della colonizzazione accelerata in Cisgiordania. Su richiesta di Israele, nel 2018 l’amministrazione Trump aveva deciso di tagliare i fondi per l’Unrwa (200 milioni di dollari l’anno) mettendo in pericolo il funzionamento di scuole, ospedali e servizi sociali.
Le Nazioni Unite sono evidentemente fuori gioco nella ricerca di una soluzione in Medio Oriente, ma hanno tutto il diritto di chiedere il rispetto del diritto internazionale umanitario. È una questione essenziale se l’organizzazione vuole rispettare il proprio mandato e se il mondo vuole mantenere una piccola speranza in tutto questo orrore.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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