È una serie di scarsa qualità con una sceneggiatura che si ripete a ogni stagione: il primo ministro ungherese Viktor Orbán aumenta la pressione e minaccia di far saltare il banco, prima che tutto si chiuda con un compromesso.

Il problema è che non si può mai essere sicuri del buon esito di questo meccanismo. Al Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre a Bruxelles la posta in gioco è così alta che ci sarebbe bisogno di qualcosa di meglio degli ennesimi negoziati dietro le quinte con Orbán. Sul tavolo, infatti, ci sono gli aiuti all’Ucraina e l’allargamento dell’Unione europea, due temi di grande importanza per il futuro del continente.

Il sito Le Courrier d’Europe Centrale spiega che la posizione di Orbán si può riassumere in un triplo “no”: “Niente armi, niente soldi e niente Unione europea per l’Ucraina”.

Il primo ministro ungherese è l’unico leader europeo a mantenere un contatto con Vladimir Putin, che a ottobre ha incontrato a Pechino, in Cina. L’Ungheria continua a importare gas russo ignorando le sanzioni.

Alla vigilia del vertice, la Commissione europea ha fatto una grande concessione a Budapest sbloccando circa dieci miliardi di euro di fondi destinati all’Ungheria, che in precedenza erano stati congelati attraverso sanzioni contro le violazioni dello stato di diritto nel paese.

La vicenda ha fatto grande scalpore. I leader dei quattro grandi gruppi politici del parlamento europeo (fatta eccezione per i due estremi) hanno firmato una lettera comune rivolta alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in cui criticano la cancellazione parziale delle sanzioni, sottolineando che l’Ungheria non ha in alcun modo fornito rassicurazioni sull’indipendenza della magistratura. La Commissione ha deciso di passare oltre, probabilmente ritenendo che la posta in gioco al vertice imponesse un gesto di apertura.

Ma Orbán non si lascia convincere facilmente, e il 13 dicembre ha ribadito la sua opposizione al pacchetto da cinquanta miliardi di euro in tre anni all’Ucraina. Rispetto all’adesione di Kiev all’Unione, il premier ungherese continua a sostenere che destabilizzerebbe l’Europa unita. Su questo punto l’Ungheria non è così isolata, anche se il cambiamento della maggioranza al potere in Polonia le ha fatto perdere un’alleata importante.

Davanti al rischio di fallire, le delegazioni hanno già prenotato gli alberghi in vista di un possibile prolungamento della trattativa fino a sabato. Con gli aiuti statunitensi all’Ucraina sottoposti al ricatto dei repubblicani, il negoziato che si svolgerà nei prossimi giorni a Bruxelles sarà vitale per l’Ucraina e gli altri candidati.

I leader europei stanno valutando il modo di aggirare il veto di un unico paese nel caso in cui sia impossibile raggiungere l’unanimità. Se 26 paesi vogliono procedere in una certa direzione, l’ingegnosità burocratica troverà una soluzione.

A prescindere dall’analisi della situazione in Ucraina – militare o politica, relativa alla corruzione o alla concorrenza agricola – tra i leader europei esiste un consenso abbastanza largo sulla necessità di mantenere la parola data a Kiev. In ballo c’è il futuro del paese ma anche quello dell’Europa.

Resta la questione Orbán, che si porrà in modo ancora più pesante l’anno prossimo, quando all’Ungheria toccherà la presidenza dell’Unione europea nel secondo semestre. C’è poco da stare tranquilli.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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