Cosa ne farà Israele della sua vittoria? Nelle ultime 48 ore in molti si sono chiesti cosa farà l’Iran o se Hezbollah riuscirà a riprendersi dalla sconfitta subita con l’uccisione del suo capo Hassan Nasrallah. Ma altrettanto importante è il modo in cui il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu utilizzerà il suo successo militare.
Un primo elemento per trovare una risposta arriva dal proseguimento dei bombardamenti israeliani in Libano durante il fine settimana. Il 29 settembre è stato effettuato anche un attacco aereo contro il porto di Hodeida, nello Yemen, a 1.800 chilometri dal territorio dello stato ebraico. In questo caso il bersaglio era un altro alleato dell’Iran, gli huthi, che avevano lanciato una serie di missili verso Israele. Netanyahu, evidentemente, intende sfruttare il suo vantaggio schiacciante sul piano militare contro gli alleati di Teheran, senza pause e soprattutto senza negoziare.
A questo punto emergono due domande. La prima riguarda la possibilità che dopo gli attacchi aerei ci sia un’invasione di terra in Libano. I preparativi sono in corso. È una scelta logica se davvero Israele vuole assicurare il ritorno a casa dei residenti sfollati dalle località del nord.
Il secondo interrogativo è più inquietante: Netanyahu vuole continuare ad alzare la posta fino a trascinare l’Iran in una guerra? Teheran non ha alcuna intenzione di lasciarsi coinvolgere, neanche dopo l’eliminazione del suo principale alleato nella regione, anche perché il rapporto di forze chiaramente non è favorevole al regime.
Il primo ministro israeliano sogna da anni di distruggere le strutture nucleari iraniane prima che il paese riesca a dotarsi dell’arma atomica. Qualche giorno fa ci chiedevamo se l’Iran fosse sul punto di scatenare una guerra regionale, ma ora i ruoli si sono invertiti attraverso l’affermazione della superiorità militare israeliana.
Il 27 settembre, in occasione del suo breve passaggio alle Nazioni Unite, Netanyahu ha dimostrato che preferisce la forza alla diplomazia e che non ha alcuna paura di contrastare gli alleati come Stati Uniti e Francia, che avevano chiesto un cessate il fuoco. Il primo ministro sa che può permetterselo, come dimostra il fatto che Joe Biden abbia definito l’omicidio di Nasrallah un “atto di giustizia”, pur avendo auspicato fino a quel punto la fine delle ostilità.
Gli Stati Uniti e la Francia continuano comunque a cercare di dimostrare a Tel Aviv che è possibile ottenere attraverso la diplomazia il rispetto della risoluzione 1701, secondo cui Hezbollah deve ritirarsi oltre il fiume Litani, nel sud del Libano. Adottata nel 2006, finora la risoluzione è rimasta lettera morta. Da questo punto passa ogni tentativo per la riduzione degli scontri.
Per il momento Netanyahu ha incassato un primo successo, ampliando la sua maggioranza alla knesset, il parlamento israeliano, con l’ingresso di un piccolo partito di destra che in precedenza era rimasto all’opposizione. Una dimostrazione di efficacia della strategia inflessibile nei confronti dei palestinesi, dell’Iran e dei suoi alleati regionali, ma anche degli alleati di Israele che spingono per un compromesso. La linea dura, dunque, funziona. Resta da capire se Israele riuscirà a ottenere una sicurezza duratura per il paese e per i suoi cittadini solo con l’uso della forza, senza passare da una soluzione politica con i suoi vicini, i palestinesi.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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