I venti contrari sono potenti. La Francia, come altri paesi europei, subisce l’effetto combinato di diversi elementi negativi: il calo costante dell’influenza del vecchio continente in campo economico, demografico e geopolitico, l’indebolimento del modello della democrazia liberale e sociale che ha plasmato l’Europa del dopoguerra e infine il ritorno del predominio dei rapporti di forza, laddove l’Unione ha costruito la propria rinascita sul ripudio della guerra e sul diritto.

A questi fattori comuni a gran parte dei paesi europei, la Francia aggiunge cattive notizie tutte sue. L’ultima in ordine di tempo è la crisi che oppone Parigi all’Algeria, paese dirimpettaio nel Mediterraneo. La situazione è degenerata dopo la decisione presa dalla Francia a ottobre di riconoscere la sovranità marocchina sul Sahara occidentale, ma le radici del conflitto sono molto più profonde.

L’ultimo episodio è arrivato la settimana scorsa, con il rifiuto di Algeri di accogliere un “influencer” algerino espulso dalla Francia dopo una serie di incitazioni alla violenza. La decisione ha provocato una tempesta di reazioni, ma in realtà i rapporti si sono interrotti da qualche tempo. Tra i due paesi non si muove più nulla, dall’economia alla politica fino alla sicurezza, con l’assenza totale di scambi di informazioni sulle minacce terroristiche. Tutto va avanti come se i leader algerini volessero letteralmente cacciare l’ex potenza coloniale dal paese.

All’interno della classe politica francese si ripetono gli inviti a “punire” l’Algeria. Ma come si può pensare di tagliare i ponti con un paese che rappresenta la terra d’origine di circa il 10 per cento della popolazione francese tra discendenti di ex coloni, di ex harki che hanno servito nell’esercito francese e di immigrati arrivati dopo l’indipendenza? Senza contare che l’animosità verso la Francia degli ottantenni al potere ad Algeri non ha contaminato una popolazione molto giovane.

L’Algeria non è l’unico paese a voltare le spalle Parigi. Buona parte dell’Africa francofona cavalca infatti un’ondata “sovranista” mettendo fine alla presenza militare francese, compreso il Ciad, che sembrava immune alle tensioni del Sahel. Incapace di prevedere questa deriva, oggi la Francia è sulla difensiva, in nome di un passato coloniale che non è ancora svanito, anche per i giovani che non l’hanno vissuto.

Allo stato attuale Parigi ha maggiore margine di manovra in stati non-francofoni come la Nigeria, ma deve trovare il modo per riaprire il dialogo con il mondo che condivide la sua lingua. Se l’Africa è il continente del futuro, infatti, perderebbe molto restandone lontana.

La Francia, quindi, deve fare i conti sia con le dinamiche continentali sia con il ruolo dell’Europa unita sul palcoscenico mondiale. Il paese resta una potenza di primo piano tra i “27” dell’Unione, al cui interno ha sollevato alcuni temi che restano cruciali, a partire dalla sovranità europea. Ma come negare che Parigi stia perdendo influenza all’estero, e quindi anche a Bruxelles, a causa della sua crisi interna?

A livello globale, la Francia è vittima della debolezza dell’Europa nel nuovo contesto internazionale, generato nel 2022 dall’invasione russa dell’Ucraina e dalla politica dei rapporti di forza della coppia Trump-Musk, che si prepara ad assumere il controllo degli Stati Uniti.

Dipendente da Washington per la propria sicurezza, l’Europa rischia di non avere la capacità di resistere al rullo compressore statunitense. L’ex ministro francese per gli affari europei Clément Beaune ha dichiarato che “l’Unione si è comportata come uno zerbino” di fronte agli attacchi di Donald Trump e di Elon Musk della settimana scorsa.

Tracciare una rotta per il futuro in un contesto simile dovrebbe essere una priorità nei dibattiti nazionali. Purtroppo, però, la bolla politica francese non si preoccupa di osservare dalla finestra un mondo che brucia.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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