L’Italia spende il 9,3 per cento del pil per il sistema sanitario, 2,3 punti percentuali in meno rispetto alla Germania. Oltre a questo “spread positivo”, possiamo anche vantarci di essere ai primi posti delle classifiche dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (Ocse) in termini di efficienza.

Eppure il presidente del consiglio Mario Monti ha espresso la sua preoccupazione per la futura sostenibilità del sistema sanitario. In effetti, vista la forbice tra la crescita dei prezzi sanitari, quella del prodotto e l’invecchiamento della popolazione, qualche razionalizzazione del sistema sarà necessaria. E in questo quadro sarà opportuno definire meglio cosa può essere garantito dal pubblico e cosa si deve far pagare a chi ha i mezzi per farlo. D’altronde è meglio far pagare a chi può che ridurre i servizi.

Non crediamo invece che le parole di Monti vogliano in nessun modo prefigurare uno scambio tra l’assistenza pubblica e le assicurazioni private. Certo, gli intermediari finanziari e le assicurazioni, che non sopportano le restrizioni imposte dalla finanza pubblica, hanno più volte chiesto al governo di favorire questo mercato. Ma non si deve perdere di vista l’interesse generale. Affidarsi al privato comporta dei rischi.

L’esperienza internazionale insegna che una forte presenza di fondi integrativi può portare a un aumento del livello di spesa, generato da un eccesso di copertura. Questo si ripercuote su tutti i cittadini e soprattutto sui più poveri, che vedono abbassarsi il livello di protezione sanitaria.

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