In Italia ogni ora di lavoro crea circa 33 euro di valore aggiunto. Questo dato è rimasto invariato negli ultimi dieci anni e così la distanza con gli altri paesi dell’eurozona è aumentata. Nel 2000 i lavoratori tedeschi e francesi producevano, rispettivamente, cinque e nove euro in più all’ora di un italiano. Oggi la differenza è salita a nove e dodici euro.
L’altra faccia della medaglia del deludente andamento della produttività è l’evoluzione del costo del lavoro per unità di prodotto, che misura la competitività del made in Italy. Come dimostrano Cristina Tealdi e Davide Ticchi su lavoce.info, negli ultimi dieci anni il costo del lavoro per unità di prodotto è aumentato del 30 per cento in Italia e del 20 per cento in Francia, mentre in Germania è rimasto pressoché invariato. Questo significa che le nostre imprese hanno perso competitività. I tedeschi hanno contenuto i salari che, tenendo conto dell’inflazione, sono in realtà diminuiti. Questo ha consentito di trasferire i guadagni di produttività alle imprese, che hanno potuto attuare politiche di prezzo aggressive e conquistare quote di mercato. I salari francesi sono invece aumentati e la produttività guadagnata è stata trasferita ai lavoratori.
In Italia gli stipendi, tenendo conto dell’inflazione, sono rimasti costanti, e non ci sono stati guadagni di produttività. Nel nostro paese il problema è quindi la produttività: l’organizzazione del lavoro è inefficiente, la classe imprenditoriale non è all’altezza e gli accordi salariali non incentivano a lavorare meglio. Sono tutti scontenti, sia i lavoratori sia le imprese.
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