Le leggi regionali vigenti oggi in Italia sono ventimila, più o meno lo stesso numero di quelle nazionali. In questo conto, tra l’altro, non rientrano i regolamenti applicativi emanati a livello provinciale e comunale, che contribuiscono a complicare ulteriormente la situazione.
Il confronto con l’estero è impietoso: paesi come la Francia e il Regno Unito hanno un numero di leggi nazionali molto inferiore al nostro e non prevedono alcun tipo di legislazione regionale. Ma il problema non è solo nei numeri: quante di queste leggi sono realmente utili? Poche. Sempre più imprese, per esempio, criticano l’eccessiva eterogeneità, da regione a regione, delle leggi applicative di norme nazionali, che in questo modo finiscono per essere un ostacolo all’iniziativa privata.
La legislazione regionale del lavoro frammenta il mercato invece di unificarlo. Altre sono leggi di principio, non finanziate e quindi prive di qualsiasi ricaduta effettiva sul territorio. È naturale che di fronte a una tale inflazione di leggi si moltiplichino le spinte centraliste, che vorrebbero privare le regioni del potere di legiferare. Ma in ogni caso resta un blocco di leggi da smaltire.
Come sottolinea Andrea Stuppini su
lavoce.info, potenziando la valutazione a posteriori delle leggi è possibile stabilire cosa sarebbe successo se non fossero mai esistite. E decidere così di quali norme fare volentieri a meno.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it