Il tasso di occupazione delle donne italiane tra i 16 e i 64 anni è del 47 per cento. Il dato è ancora più preoccupante se confrontato con la media europea, che è del 57 per cento. Non è un caso quindi che Christine Lagarde, la direttrice del Fondo monetario internazionale, abbia accusato l’Italia di fare poco per l’occupazione femminile. E questo proprio mentre molte donne si rivolgono al mercato del lavoro perché i loro mariti sono disoccupati o hanno un salario ridotto.

Il governo nella legge-delega di riforma del mercato del lavoro ha proposto qualche intervento per conciliare l’impegno lavorativo e la famiglia. Ma il problema è che ci sono molti disincentivi alla partecipazione femminile al mercato del lavoro. Come documentano Carlo Fiorio e Marco Leonardi su

lavoce.info, lo stato spende ogni anno più di 3,5 miliardi di euro in detrazioni per il coniuge a carico, che scoraggiano soprattutto l’impiego delle donne. Queste risorse potrebbero finanziare un sussidio condizionato all’impiego a bassi salari.

Un’altra soluzione sarebbe sostituire le detrazioni con un assegno familiare indipendente dall’imposizione fiscale. Questo trasferimento riguarderebbe tutte le donne con almeno un figlio minorenne e un reddito familiare annuale di massimo ventimila euro. Un reddito minimo dichiarato anche per le lavoratrici autonome, inoltre, avrebbe il vantaggio di far emergere una quota di lavoro autonomo sommerso. In questo modo più di due milioni di famiglie riceverebbero quasi 1.700 euro all’anno. Un beneficio più sostanzioso di quello attuale, e a parità di costo per l’erario.

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