I mooc (massive online open courses) sono piattaforme gratuite di corsi universitari e materiale didattico per la scuola secondaria. Negli ultimi anni sono decollati, e oggi contano 453 corsi e partnership con università di diversi paesi e nove milioni di studenti iscritti in tutto il mondo. Anche gli atenei più prestigiosi (per esempio Harvard) hanno versato ingenti risorse in questo settore.

Non è detto però che i mooc possano essere il futuro dell’istruzione. Anzi, come ricorda Luciano Canova su

lavoce.info, ci sono diversi campanelli d’allarme. Innanzitutto c’è l’alto tasso di abbandono, superiore all’85 per cento. Inoltre, i mooc si presentano come un modello pensato per estendere l’accesso a un’istruzione di qualità a chi ne è escluso, ma per il momento non è così: l’80 per cento degli iscritti viene da un paese Ocse e si tratta quasi sempre di persone che hanno già un grado elevato di istruzione. 

Poi non è chiaro qual è il modello aziendale delle piattaforme, che faticano a registrare utili. Infine, c’è il winner takes all, cioè il rischio di una forte divaricazione tra università di prima fascia e università mediocri, con le prime in grado di offrire a una platea globale i corsi dei  loro professori, per di più a costi irrisori, e le seconde spiazzate dall’enorme diffusione di didattica d’eccellenza. Detto questo, si tratta indubbiamente di una rivoluzione che è bene tenere in considerazione. La qualità delle infrastrutture e l’alfabetizzazione digitale saranno sempre più centrali nell’istruzione. L’Italia, a parte rari casi, è indietro. E finora la questione è stata ignorata dal governo.

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