Qualche anno fa un giovane studioso, Antonio Di Martino, ha mostrato nella sua tesi di dottorato pisana quanto e come incidono i fattori affettivi e gli atteggiamenti non cognitivi nel determinare o no difficoltà nell’apprendimento della matematica.
La didattica della matematica confluisce così negli studi di psicologia dell’età evolutiva per aiutarci a capire le precondizioni di ogni apprendimento strutturato. Tra queste domina la capacità di concentrazione e attenzione. A chi insegna tocca il difficile compito di attivarla in chi apprende. Da varie parti si ritiene che questa capacità sia in crisi tra le giovani generazioni nell’età dell’apprendimento scolastico.
Sta avendo eco in Europa una ricerca su mille giovani inglesi: la tenuta dell’attenzione durante l’ascolto di una lezione universitaria sarebbe mediamente di dieci minuti. Il 12 gennaio Ferdinand von Prondzynski, studioso di relazioni industriali, ora rettore della Dublin College University, ha espresso nel suo blog qualche dubbio sul risultato della ricerca e ha ricordato tuttavia che negli anni settanta un bravo insegnante poteva contare su periodi di attenzione concentrata di venti minuti, dopo di che doveva ricorrere a cambi di tono, aneddoti, discussioni con gli allievi per ottenere una ripresa di attenzione.
Non c’è dubbio: oltre i confini familiari, la scuola non è più la maggiore fonte di informazioni e motivi d’interesse per le generazioni più giovani. La sfida educativa nelle aule è sempre più difficile.
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