Il 7 dicembre, mentre in Italia eravamo intenti a capire le intenzioni di un ex primo ministro e a consolarci con X Factor, Patrick Thomas e Anthony Breitman hanno rilasciato in Spectrum, la rivista online dell’Institute of electrical and electronics engineers, la loro “annual analysis of who’s who in patenting innovation”. Le notizie sul numero di brevetti nel mondo sono state ottenute da università, enti pubblici e imprese dei più svariati settori, aerospazio e tecnologie dell’informazione, biotecnologie e strumenti medici.

Il numero di brevetti depositati nell’anno e la loro percentuale sulla popolazione sono buoni indicatori non solo della potenza tecnologica e industriale di un pae­se. In filigrana si legge lo stato di una cultura: il sapere e il saper fare, il grado di competenze operative, intellettuali e organizzative di un paese, il funzionamento, in definitiva, dell’apparato scuola-università-ricerca. Altre stime disponibili sono poco aggiornate e assemblate con criteri non sempre chiari. Quelle di Spectrum sono aggiornate e ben presentate.

Le ha richiamate in una sua nota Roberto Vacca. Oltre agli Stati Uniti, altri paesi sono presenti come principali produttori di brevetti: Giappone e Germania, Svezia, Regno Unito, Olanda, Canada, Finlandia, Danimarca, Corea del Sud, Cina, Belgio. Molti sono più piccoli dell’Italia, che risulta assente. In Italia, dice Vacca, per “redimere il paese” i decisori pubblici e perfino i più miopi privati dovrebbero capire che brevetta e prospera di più chi studia di più.

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