Annamaria Ajello, presidente dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione e formazione (Invalsi), annunzia che il 4 e 5 dicembre si terrà a Roma un convegno per riflettere sull’esperienza ormai decennale della produzione e analisi di prove oggettive proposte alle scuole e agli studenti.
Ci saranno ex presidenti dell’istituto, esperti italiani e stranieri, associazioni di insegnanti, sindacati. La misurazione e valutazione delle conoscenze e competenze acquisite studiando è una materia complessa e delicata in sé e per le ricadute che i risultati possono avere su studenti, scuole, orientamenti educativi e politici. Bisogna sperare che la discussione si svolga senza le furie a cui mesi fa si abbandonarono alcuni economisti, convinti che la materia sia cosa solo loro. E sarebbe di pubblico interesse se nel convegno trovassero posto riflessioni ed esperienze divergenti da quelle di chi affida ai test non solo la misurazione, ma anche la valutazione di che e come ha appreso uno studente e di che e come ha insegnato un docente.
Si pensi al gran lavoro documentato per la promozione della formazione di docenti e di una scuola buona svolto da Teach for America o agli eccellenti risultati di contrôle continu intégral in Francia (Le Monde, 22 ottobre). Esami e test finali diventano un’inutile mannaia se gli insegnanti sono a ogni istante appassionatamente impegnati in un colloquio per capire se e come cresce il sapere e saper fare d’ogni singolo alunno.
Questo articolo è stato pubblicato il 7 novembre 2014 a pagina 100 di Internazionale, con il titolo “Test sotto esame”. Compra questo numero | Abbonati
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