Ogni dicembre torna all’Avana il festival internazionale del nuovo cinema latinoamericano. Quest’anno ci saranno più di cinquecento film da quarantasei paesi e la presenza di attori e registi di altre latitudini. La luce in sala si spegne, la gente si sistema sulle poltrone e, davanti ai nostri occhi, torna la magia del grande schermo. Ma rispetto a trentaquattro anni fa, quando è stata inaugurata quest’iniziativa, molto è cambiato.
La differenza più grande è nelle modalità di accesso popolare al cinema. Prima dipendevamo dalla programmazione delle sale statali di proiezione: se un determinato film non era stato messo in programma in uno di quegli spazi pubblici, non c’era modo di vederlo. Era una cosa che succedeva spesso, a causa della censura, del disinteresse o perché mancavano i diritti per inserire la pellicola nel circuito nazionale. A metà degli anni ottanta sono cominciati a spuntare i primi videoregistratori domestici. A quel punto il rapporto che avevamo con l’audiovisivo ha cominciato a cambiare.
Oggi le sale cinematografiche autonome proliferano ovunque in città ed è raro incontrare una famiglia che non abbia almeno un cd player per vedere documentari, film e programmi che non entreranno nella programmazione ufficiale. È questa la sfida del festival: riportare la gente nelle sale, motivarla a seguire un evento che, qualche anno fa, era l’unica finestra che avevamo su un cinema fresco e diverso.
Traduzione di Francesca Rossetti
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