Dopo cinque anni e venti risposte negative alla mia richiesta di viaggiare, questa settimana sono uscita da Cuba. “Fino a quando l’aereo non decollerà, non ci crederò”, ho detto ai miei amici e alla mia famiglia. Ma questa volta la vita ha smentito il mio scetticismo. Il 17 febbraio sono partita dall’aeroporto dell’Avana diretta a Recife, in Brasile. Portavo una vecchia valigia, i miei sogni e una piccola madonna di legno che mia madre mi ha regalato come portafortuna.
Viaggiare non dovrebbe fare notizia in nessun luogo del mondo, ma l’anomala situazione migratoria che i cubani hanno vissuto per decine di anni ha reso il superamento dei confini nazionali un titolo da prima pagina. Dal 14 febbraio, quando è entrata in vigore la nuova legge per uscire dal paese, ogni giorno è una sorpresa sapere che qualche attivista dissidente riesce ad andare all’estero. Aver ottenuto un passaporto e poter finalmente visitare altri paesi mi cambierà la vita. So già che quando tornerò a Cuba non sarò la stessa.
In Brasile ho trovato un popolo simile da un punto di vista etnico e culturale a quello che ho lasciato sull’isola, ma in un contesto di rispetto delle libertà. Un paese dove ci sono molte cose da migliorare, ma dove la gente si esprime con una trasparenza difficile da immaginare per i cubani. È stato come vedere il mio paese, ma in un momento in cui le opinioni non sono punite. Ho viaggiato nello spazio e nel tempo.
Traduzione di Francesca Rossetti
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