Un giorno d’autunno, in un mercatino, una regista radiofonica s’imbatte in un mazzo di fotografie anonime che raffigurano persone e situazioni del novecento, e decide che bisogna inventare per ciascuna una storia diversa, unica, fantasiosa e personalissima, che solo gli scrittori possono salvarle dall’oblio: lei si chiama Ivana e crea così Ri-scatti. Archivio romantico delle foto perdute, un affascinante progetto di condivisione di scatti d’epoca e didascalie di scrittori che li hanno adottati.
Senza immagini invece è ideato e scritto interamente da una giovane donna di nome Elisa: il padre era un fotografo e ha sempre cercato di insegnarle il mestiere, da quando è morto le manca il suo sguardo. Elisa ritiene di non averne le doti, ma vuole continuare a vedere il mondo come lo vedeva lui, pur senza sfidarne il talento, non si sente all’altezza. Decide di non fare fotografie ma di raccontarle e dà vita a un progetto originale, in cui rielabora la capacità di isolare quegli istanti speciali che sembrano concentrare tutta la vita. Quella dote l’ha ereditata da suo padre, ma usando la tastiera al posto dell’obiettivo Elisa l’ha cambiata e fatta sua.
Elisa e Ivana non si conoscono e hanno creato ciascuna il proprio spazio con esiti e intenti diversi, ma a legarle è l’idea che siano le parole a suggerire cosa potremmo vedere e non viceversa. Proprio come avviene nella letteratura.
Questi due siti sono gli antibiotici per chi si annoia in un mondo tutto instagrammabile.
Sott’acqua scorre il mondo piccolo ma enorme, comune e unico di una persona che vuole restare anonima
Senza immagini è fatto di momenti così: Elisa inciampa in una scena, la sorprende un dettaglio, la travolge una canzone o un odore e allora, come noi faremmo con lo smartphone e un professionista con una macchina seria, blocca quell’immagine. Solo che anziché fotografarla la scrive. Un giorno annota “i semi di zucca con il sale, da aprire con i denti davanti” e, tra parentesi quadre dopo un’interlinea, “[fotografia della felicità che sta in cose minuscole e lascia un po’ di amaro in bocca]”. Un altro “lui suona il violino nella metro, gli altri hanno gli auricolari agli orecchi, lui non smette di suonare” e aggiunge “[fotografia di concerto per sordi]”.
Immagini vomitate
Certi giorni cattura versi di Joan Rivers, “[fotografia di ciò che andrà meglio]”, certi altri di De Gregori, “[fotografia di me, che non so tutto questo, Alice, come te]”. Ciò che accade a Elisa rinasce sotto i nostri occhi senza bisogno di passare attraverso la vista, come se stessimo ascoltando un aedo o un poeta di corte. Nel susseguirsi delle foto mai scattate ma evocate con precisione si scoprono sottotrame ricorrenti: la giraffa portaspazzolino, il genitore che manca, certe voci bambine che la chiamano zia. Sott’acqua, “senza immagini”, scorre il mondo piccolo ma enorme, compresso e magico, comune e unico di una persona che vuole restare anonima, perché soltanto in quello spazio distante dal quotidiano riesce a raccontarsi.
Ivana Marrone invece la si può contattare tramite il sito di Ri-scatti. La sua idea è nata perché era satura di immagini continuamente vomitate in internet. Che bisogno c’è di nuove foto mentre nessuno sa più cosa farsene delle vecchie, si è chiesta, e ha comprato tutto lo stock che stava sfogliando in una bancarella di piazza Sempione a Roma. È partita dalla foto di una coppia, ha chiamato Enza e Fernando quell’uomo e quella donna che non aveva mai visto prima, li ha fatti dialogare come se non si fossero mai perduti, quindi ha postato su Facebook la storia che aveva inventato e l’immagine da cui era nata.
Ha cominciato a chiedere a scrittori, musicisti, artisti di fare lo stesso, agire come taumaturghi, adottare una dopo l’altra le foto che il bancarellaro di piazza Sempione le aveva venduto a peso sul palmo di una mano, e a cercarne di nuove. Roberto Saviano le regala un triste ritratto del nostro paese:
Camicie nere, ma non fino in fondo. Sorrisi di noia più che d’allegria, donne tutte vicine divertite che le hanno permesso di stare in foto. Coperte da giacche maschili ridono. Uomini tutti complici. Non fa caldo ma non fa freddo. C’è la luce della Romagna o forse è Lucania o Abruzzo. Volti bruciati dal sole e sigarette penzolanti dalle labbra. L’Italia è tutta in quel fiasco sul tavolo. Tutta in quel fiasco.
La scrittrice Bianca Pitzorno osserva una serie di scatti accomunati dai medesimi protagonisti e ne trae quasi la trama di un romanzo:
Quando papà ha scoperto queste foto, gli è quasi venuto un infarto. Era sicuro che nessuno conoscesse il suo segreto, sapesse del suo antico adulterio, di quella figlia bastarda che nascondeva con tanta cura. Come sospettare che noi avessimo scoperto l’esistenza di Elisa, ne fossimo diventate amiche e ogni anno ci godessimo insieme una vacanza, sorelle clandestine?
E ancora tradimenti, addii, abbandoni, felicità e strappi inventati da scrittori come Paola Soriga, Ester Armanino, Carolina Cutolo, Aldo Nove, Vins Gallico, giornalisti come Giorgio Zanchini e Massimiliano Coccia, musicisti come Colapesce e Dente, attori e autori come Corrado Fortuna. Un universo intrecciato e pieno di sfumature, in continua espansione.
Ri-Scatti è nato su Facebook, Senza immagini su Twitter. Ivana ha ancora il suo vecchio account e lo usa per diffondere le foto che si aggiungono al suo archivio, anche adesso che quell’idea iniziale è diventata qualcosa di molto più ampio. Ogni foto rimbalza da una bacheca all’altra suscitando entusiasmo e autocandidature di aspiranti genitori adottivi di foto orfane.
Elisa invece ha chiuso all’improvviso il suo @senzaimmagini, embrione social dell’attuale sito, lasciando nello sconforto i follower che ogni giorno aspettavano le sue parole precise e lievi, refoli di ossigeno poetico nell’affollamento di notizie e polemiche. Anch’io ho sofferto per quell’abbandono, ma un giorno mi ha scritto un’email vuota, solo l’indirizzo del nuovo spazio, si chiamava allo stesso modo e l’idea era rimasta intatta, semplicemente non le andava più di interagire con troppi sconosciuti.
Una vita si assiepa in qualche riga, come nelle didascalie che scrivevamo nello spazio bianco delle polaroid
Se ogni immagine è un romanzo, basta poco per evocarlo. Le storie di Elisa, nate entro le 140 battute di un tweet, mantengono sul sito la stessa snellezza. Ivana impone a chi adotta le sue foto un confine appena più comodo, 380 caratteri. In fondo, una vita si assiepa in qualche riga, come nelle didascalie che scrivevamo a inchiostro nello spazio bianco intorno alle polaroid. All’epoca scattare non era un gesto leggero perché tutto aveva un prezzo: il rullino, la stampa, perfino le macchine fotografiche, oggetti sacri che non usavamo per telefonare o sentire musica.
Instagram ha milioni di utenti che condividono più o meno compulsivamente quello che vedono. Selfie allo specchio, oggetti firmati, piatti di chef, copertine e pagine di libri, tramonti e bicchieri, gatti e piedi, screenshot, panorami, stanze d’albergo, tavoli da lavoro, divani, sbronze, sesso: tutti guardano foto, tutti mettono e tolgono like, tutti le cancellano e le dimenticano un secondo dopo averle scattate, scorse, ricevute.
Due donne di talento fanno un passo al contrario e si prendono tempo per raccontarle. Ci ricordano che abbiamo ancora un disperato bisogno di parole, ridono dell’illusione di sbarazzarcene. Siamo circondati dalle immagini, ma la letteratura può ancora insegnarci come guardarle.
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