“Prima di Rangoon, c’era la Shwedagon”, scrive Thant Myint-U, storico birmano e nipote di U-Thant, e uno dei “100 pensatori più influenti del mondo” secondo Foreign Policy, nel bel libro Myanmar. Dove la Cina incontra l’India, uscito pochi mesi fa.

Secondo la leggenda, 25 secoli fa, in India, succede che due fratelli mercanti incontrino il Budda, che li istruisce sulla fragilità dell’esperienza umana e gli regala otto dei suoi capelli.

Tornati in Birmania, i fratelli conservano la reliquia in uno scrigno ingemmato e la seppelliscono là dove sarebbe sorta la pagoda Shwedagon: un’impressionante cupola d’oro collocata al centro di un intricato complesso di templi, pagode minori, padiglioni di ogni forma e dimensione. Il momento migliore per visitarla è l’imbrunire, quando tutto si accende di mille riflessi.

La pagoda Shwedagon a Yangoon, dicembre 2015. (Annamaria Testa)

La pagoda, scrive Thant Myint-U, è

un’enorme struttura dorata, alta 99 metri, a forma di imbuto rovesciato, con base ottagonale e una cupola a campana che termina in un lungo pinnacolo. Le parti inferiori sono ricoperte di foglia d’oro e quelle superiori di lamine d’oro massiccio, per un rivestimento complessivo di ben 60 tonnellate, ‘più che in tutti i sotterranei della Banca d’Inghilterra’, dicevano i birmani all’epoca del dominio britannico. La cima del pinnacolo è incrostata di migliaia di pietre preziose e diamanti, per un totale di duemila carati.

La pagoda Shwedagon a Yangoon, dicembre 2015. (Annamaria Testa)

La pagoda assume la sua forma attuale nel 1400, ma le strutture di base sono molto più antiche e risalgono ai primi secoli dopo Cristo.

“Risplendente al sole di giorno e illuminata anche la notte”, aggiunge Thant Myint-U,

la Shwedagon è visibile da quasi ogni punto della città. Non esiste forse altro posto al mondo che sia fisicamente e spiritualmente dominato da un luogo di culto quanto lo è Rangoon dalla sua pagoda. Dopo averla visitata nel 1889, Rudyard Kypling la definì ‘un mistero dorato’, ‘una splendida meraviglia luccicante che ardeva al sole’.

La pagoda Shwedagon a Yangoon, dicembre 2015. (Annamaria Testa)

La folla che si agita nel complesso è notevole, ma si tratta soprattutto di asiatici: monaci e visitatori buddisti che si fotografano a vicenda, gente di Rangoon vestita di longyi colorati che porta doni – fiori e candele, ciotole con cibo e acqua – e prega inginocchiata o con la fronte a terra. L’aria profuma d’incenso e dei gelsomini offerti intrecciati in lunghe collane. Tutto balugina e scintilla.

La pagoda Shwedagon a Yangoon, dicembre 2015. (Annamaria Testa)

Dietro le teste dei mille Budda dorati lampeggiano sbalorditive aureole di luci colorate, intermittenti e psichedeliche, vagamente ipnotiche. Riflessi d’oro si moltiplicano su ogni superficie, a ogni nuova prospettiva che si apre.

Giovani monache nella pagoda Shwedagon a Yangoon, dicembre 2015. (Annamaria Testa)

Da sempre la Birmania è chiamata “il paese d’oro”. Anche lo spirito religioso è dorato, e applicare una foglia d’oro alla statua del Budda è un importante segno di devozione.

Così, anche le cinque statue del Budda risalenti al dodicesimo secolo e ospitate nella pagoda Paung Daw U sono state talmente ricoperte di foglia d’oro da triplicare le proprie dimensioni e da perdere ogni forma: oggi sembrano enormi, bitorzolute, luccicanti noccioline americane.

Sono coperti di foglia d’oro i soffitti e le pareti del tempio Mahamuni, ed è butterata d’oro per quindici centimetri di spessore la grande, veneratissima statua del Budda che si trova lì.

È interamente coperto di foglia d’oro il masso di granito (15 metri di circonferenza, 7 metri di altezza) che costituisce la base della stuperfacente pagoda Kyaiktiyo, terzo centro di culto del paese dopo Shwedagon e Mahamuni.

Mandalay, il tempio Mahamuni, gennaio 2016. (Annamaria Testa)

La foglia d’oro è tradizionalmente ottenuta grazie a una serie di faticose, ripetute operazioni di battitura con pesanti martelli: battitura dopo battitura l’oro, chiuso in pacchetti di fogli di carta di bambù, è ridotto allo spessore di poco più di un millesimo di millimetro (0,000005 pollici): basta fare due conti senza ingarbugliarsi negli zeri per capire quanti gesti di fedeli si sono succeduti per chiudere il Budda del tempio Mahamuni nella sua spessa corazza dorata.

Pagan, il re dei Nat nel tempio Shwezigon, gennaio 2016. (Annamaria Testa)

Pacchetti di quadratini di foglia d’oro si possono comprare nelle pagode per settemila, cinquemila o anche tremila kyat: si tratta di pochi dollari che le persone, anche quelle meno abbienti, spendono volentieri per acquisire meriti e buona sorte per questa e per le prossime vite.

È una forma di devozione che ignora perfino le barriere fisiche. Guardate la foto qui sopra: siamo a Pagan, fuori del tempio Shwezigon, in un piccolo edificio laterale che ospita le statue di 37 [nat sein](https://en.wikipedia.org/wiki/Nat_(spirit)): spiriti protettori il cui culto si intreccia in modo piuttosto complicato con il buddismo.

La statua di Thagyamin, il re dei nat, è stata protetta da un vetro per ripararla dalle applicazioni di foglia d’oro. Ma le persone hanno cominciato ad applicare foglia d’oro su quel vetro. Allora davanti al vetro, a circa un metro di distanza, è stato posto un cancello. Sul quale, ora, si può vedere un bello strato di foglia d’oro.

Pagan, dentro al tempio Shwezigon, gennaio 2016. (Annamaria Testa)

La foglia d’oro è usata per decorare suppellettili di lacca e mobili, alimenti, per i cosmetici e, sciolta in acqua piovana e con l’aggiunta di altri ingredienti, come medicina.

Ha un aspetto dorato perfino la thanaka, la crema vegetale e profumata di sandalo che buona parte delle donne birmane (e diversi uomini) si applicano sulla faccia a scopo sia protettivo sia decorativo.

Ma quello che oggi attrae in Birmania le multinazionali non è il luccichio dei templi: come scrive il Sole24Ore, oggi gli investitori internazionali ritengono che il paese, “con risorse naturali ancora da stimare, una popolazione numerosa e giovane, incastonato tra le economie a più alta crescita del mondo”, sia un posto dove si possono fare affari d’oro.

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