Tutti i giorni, dopo una corsa mattutina, Adam Reutens-Tan si rinfresca sotto una doccia da campeggio fissata al soffitto del suo bagno. La doccia utilizza solo quattro litri d’acqua ed è uno degli strumenti con cui la famiglia Reutens-Tan partecipa a un progetto nazionale che entro il 2030 dovrebbe ridurre dell’8 per cento il consumo quotidiano di acqua a Singapore. Oggi i suoi abitanti ne consumano 141 litri al giorno a testa, l’equivalente, secondo l’università di Harvard, di quella usata negli Stati Uniti per due docce da otto minuti ciascuna.
Secondo i dati delle Nazioni Unite, oggi due miliardi di persone, circa un quarto della popolazione mondiale, consumano acqua a un ritmo di gran lunga superiore a quello con cui la risorsa si rigenera.
Gli esperti dicono che quasi metà di quella che arriva a Singapore proviene dal fiume Johor, in Malaysia, grazie a una serie di accordi stipulati nel 1927. Quello in vigore scadrà nel 2061 e da anni alimenta dissapori tra i due paesi per via dei prezzi. La città-stato compra quasi quattromila litri d’acqua per 3 sen – meno di un decimo di centesimo di euro. Un prezzo “ridicolo”, secondo il primo ministro malese. Tanto più che Singapore la rivende purificata alla Malaysia per 50 sen.
All’inizio di quest’anno i leader dei due paesi hanno accettato di valutare un arbitrato per mettere fine a uno scontro in corso da mesi. Conflitti di questo tipo sono sempre più frequenti in Asia, dove quasi metà della popolazione vive nei bacini idrografici di appena dieci fiumi. Tra questi, in quattro diminuirà sensibilmente la portata nei prossimi cinquant’anni, secondo il think tank China water risk.
Dalle dispute tra paesi confinanti lungo il corso del fiume Mekong ai rischi per le falde in India, e alle carenze sempre più estreme in megalopoli come Giacarta e Manila, l’acqua sta diventando un tema divisivo nel dibattito politico dell’area.
Le alternative
“Continuiamo a parlare di quanto sia importante, ma il settore idrico è tra quelli in cui la cooperazione è più scarsa”, spiega Dechen Tsering, responsabile del programma per l’ambiente delle Nazioni Unite che si occupa di Asia e Pacifico.
L’incertezza sulle importazioni delle risorse idriche e le piogge sempre più irregolari a causa del cambiamento climatico stanno spingendo Singapore ad aumentare la produzione di acqua, combinando risparmio, riutilizzo e tecnologie innovative. Dal 2006 il paese – tra i più ricchi del sudest asiatico – ha speso quasi mezzo miliardo di dollari per migliorarle.
Inoltre, Singapore invita i cittadini a non utilizzare il tubo per lavare l’auto con la pompa, a non lasciare aperti i rubinetti mentre lavano i piatti e a fermare il getto della doccia mentre si insaponano. Reutens-Tan e la sua famiglia hanno deciso di collaborare al massimo. “Quando vivevamo in Australia la nostra casa era molto vecchia e la temperatura dell’acqua non era costante”, racconta Adam, 42 anni, che vive insieme alla moglie e ai due figli in un palazzo residenziale nel distretto di Hougang.
“Così ho acquistato una doccia da campeggio e ho cominciato a usarla sia d’estate sia d’inverno. Mi sono accorto che così riducevamo moltissimo il consumo”.
I Reutens-Tan fanno docce da cinque minuti, utilizzano l’acqua nebulizzata per lavare i pavimenti e cucinano i pasti in un’unica pentola per lavare meno cose. Ogni componente della famiglia usa una tazza per lavarsi i denti. La bolletta dimostra che i Reutens-Tan consumano meno di metà dell’acqua rispetto alla media di Singapore.
“Siamo molto lontani dall’indipendenza idrica. Dipendiamo pesantemente dalla Malaysia”, spiega Adam, che il mese scorso ha partecipato con la famiglia a un corso per il risparmio delle risorse idriche. “Essere indipendenti è fondamentale”, spiega.
Questo è precisamente l’obiettivo di Singapore. L’amministrazione sta portando avanti uno dei progetti più ambiziosi a livello mondiale. Secondo i dati dell’agenzia idrica nazionale (Pub) il paese utilizza attualmente 1,95 miliardi di litri d’acqua al giorno, abbastanza da riempire 782 piscine olimpioniche. Il consumo delle famiglie rappresenta quasi metà del totale.
Rubinetti nazionali
Nei prossimi quarant’anni queste cifre rischiano di raddoppiare a causa della crescita della popolazione. Fin dall’indipendenza, mezzo secolo fa, Singapore ha riconosciuto l’importanza di diversificare l’approvvigionamento idrico. Oggi lo fa grazie a quattro “rubinetti nazionali”: le riserve piovane, il riciclo, la dissalazione e l’importazione.
I tentativi di aumentare le riserve sono cominciati dieci anni fa con l’introduzione di sanzioni durissime per chi butta rifiuti nei fiumi e con la pulizia dei corsi d’acqua. Tutto questo in un paese dove un tempo si diceva che i ciechi potessero “vedere” i fiumi a causa del loro tanfo. Singapore ha investito molto anche in un sistema di dighe e drenaggio sotterraneo. Oggi nella città-stato ci sono 17 bacini che raccolgono la pioggia che cade su due terzi del territorio.
Il sistema dei quattro rubinetti nazionali di Singapore
Il governo sta sperimentando l’utilizzo di contatori wireless che rilevano immediatamente un uso eccessivo o una perdita, e ha investito molto su cinque impianti di riciclaggio che attualmente forniscono il 40 per cento dell’acqua utilizzata nel paese. L’amministrazione spera che la percentuale possa arrivare al 55 per cento entro il 2060.
In tutto il mondo un numero sempre maggiore di città ricicla le acque di scarico, ma la possibilità di riutilizzare ogni singola goccia dipende anche dalla risposta degli utenti, spiega Cecilia Tortajada, ricercatrice dell’Istituto di politica idrica dell’università nazionale di Singapore. Gli imprenditori sono felici di utilizzare l’acqua riciclata nelle loro industrie, ma non tutti sono entusiasti all’idea di berla.
Dissalazione
Per incrementare ulteriormente le riserve, la città-stato rende potabile l’acqua del mare. Singapore ha inaugurato il primo impianto per la dissalazione nel 2005. Oggi gli impianti sono tre e altri due saranno costruiti entro il 2020. Secondo il Pub quelli attuali coprono il 30 per cento della necessità idrica della città-stato. Il processo prevede l’impiego di grandi quantità di energia, motivo per cui non è un metodo particolarmente diffuso. Tuttavia, grazie alle nuove tecnologie e alla crescita delle energie rinnovabili, il Pub ritiene di poter dimezzare la quantità di energia dedicata alla dissalazione.
Oggi la possibilità che il paese diventi del tutto autosufficiente e interrompa l’importazione d’acqua non è più utopistica, sottolinea King Wang Poon, direttore del centro per le città innovative Juan Yew all’università di tecnologia e design di Singapore.
“Quando abbiamo cominciato non pensavamo che sarebbe stato possibile arrivare al cento per cento”, sottolinea. “Ma considerando la maggiore disponibilità di energia solare per la dissalazione ci sono buone possibilità di raggiungere questo obiettivo entro il 2061”.
Secondo Gabriel Eckstein, presidente dell’associazione internazionale per le risorse idriche, il principale ostacolo potrebbe essere il costo ridotto dell’acqua importata dalla Malaysia. “Sono convinto che già adesso Singapore avrebbe la possibilità di essere indipendente”, spiega. “Ma in questo momento non ha senso dal punto di vista economico”.
Purtroppo, secondo Tortajada, l’esempio di Singapore è difficilmente replicabile in altre città, almeno in tempi brevi. La mancanza di soldi, l’inquinamento, la corruzione e l’inefficienza sono ostacoli apparentemente insormontabili.
L’attenzione della città-stato per l’innovazione e la sua flessibilità sono elementi cruciali del suo successo, sottolinea Tortajada. Nonostante la rigorosa pianificazione, Singapore “non ha avuto paura di cambiare i piani. Se qualcosa non funziona l’amministrazione è in grado di adattarsi e modificare le proprie pratiche”, aggiunge Tortajada.
Nel suo appartamento, Adam Reutens-Tan ammette che le iniziative messe in campo dal paese rappresentano un buon inizio, ma è convinto che il Pub dovrebbe perseguire i suoi obiettivi con maggiore decisione. Secondo gli esperti, per ridurre l’utilizzo quotidiano a 130 litri pro capite, Singapore dovrebbe imporre limiti ancora più vincolanti ai suoi circa sei milioni di residenti e aumentare i prezzi.
Reutens-Tan non pensa che la Malaysia chiuderà mai i rubinetti – considerando i legami culturali ed economici tra i due paesi – ma è molto preoccupato dal cambiamento climatico e dalla possibilità che si verifichino gravi siccità nell’area del fiume Johor. La Malaysia “potrebbe stabilire all’improvviso di aver bisogno di quell’acqua. Di sicuro non avrebbe torto se volesse dare la precedenza ai malesi”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo fa parte della serie Un pianeta senz’acqua, realizzata dalla Thomson Reuters Foundation. Leggi la versione originale.
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