Un giorno del 2015, scorrendo tra le varie notizie, Alexey Kharis, un imprenditore residente in California e padre di due bambini, si imbatté in un annuncio sconvolgente: la Russia avrebbe presentato una richiesta di arresto globale a suo carico all’Organizzazione internazionale della polizia criminale, meglio nota come Interpol.
Kharis, 46 anni, era esterrefatto. Tutto quello che sapeva dell’Interpol e della sua ricerca dei criminali più pericolosi del mondo lo aveva preso da romanzi e film. Cercò di rassicurarsi pensando che tutto sarebbe andato bene, che era solo una manovra intimidatoria delle autorità russe. Di sicuro la più grande organizzazione mondiale di polizia non aveva motivo per scatenare una caccia contro di lui.
Nei mesi successivi Kharis continuò a controllare la galleria dell’Interpol con le foto di migliaia di fuggitivi internazionali. Alla fine trovò la sua foto segnaletica, in cui osservava l’obiettivo con lo sguardo da criminale incallito. “Mio dio”, esclamò terrorizzato.
“Questo tizio è un terrorista. Quest’altro è un assassino. Questo ha rapito bambini. E poi ci sono io”, ricorda di aver pensato mentre spulciava il registro dell’Interpol.
Speranza vana
Kharis era finito nel mirino delle autorità russe quando gestiva una grande impresa edilizia nel paese. Nel 2010 la sua società, Zao Rosdorsnabzhenie, aveva ottenuto un appalto governativo per restaurare i cantieri navali nella città di Vladivostok, nella punta orientale della Russia. In quel periodo il suo socio in affari, Igor Borbot, gli aveva confessato che alcuni funzionari di alto livello si appropriavano indebitamente dei fondi destinati al progetto.
Kharis era stato preso di mira dopo aver minacciato di rivelare pubblicamente la corruzione ministeriale e si era rifiutato di testimoniare contro Borbot. Nel 2013, durante un interrogatorio, gli agenti dell’Ufficio per la sicurezza federale russo gli dissero: “Il tuo socio colerà a picco. Puoi aiutarci o puoi affondare con lui”.
Ingenuamente Kharis aveva sperato che le indagini delle autorità lo avrebbero scagionato. La procedura dell’Interpol ha confermato che si sbagliava. Kharis era accusato di far parte di una “organizzazione criminale” che aveva rubato decine di milioni di sterline dalla sua stessa società, e rischiava una condanna fino a dieci anni di prigione.
Ted Bromund, un testimone coinvolto in qualità di esperto nel procedimento a suo carico negli Stati Uniti (è uno specialista di affari internazionali per il think tank statunitense di destra Heritage Foundation) ha dedicato intere giornate all’analisi dei documenti, convincendosi che le accuse fossero prive di fondamento. Secondo lui, era l’ennesimo tentativo da parte dei russi di strumentalizzare l’Interpol con richieste infondate di arresto nei confronti dei suoi cittadini. Secondo l’organizzazione statunitense per i diritti umani Freedom House, la Russia è responsabile del 38 per cento di tutti i red notice (avvisi rossi) dell’Interpol, un’allerta internazionale inviata alla polizia di tutto il mondo.
Nella sua testimonianza Bromund ha scritto che l’arresto non dimostra che Kharis abbia commesso un crimine, “ma solo che la Federazione russa ha compilato correttamente un modulo dell’Interpol”. L’Interpol non ha voluto commentare la vicenda di Kharis, limitandosi a confermare che è ricercato.
Tuttavia le autorità per l’immigrazione degli Stati Uniti non hanno condiviso questa tesi. Il dipartimento per la sicurezza nazionale ha ritenuto che Kharis fosse “a rischio di fuga” e nel 2017 lo ha arrestato a San Francisco. Kharis ha passato i quindici mesi successivi nei penitenziari della California.
L’Interpol fu fondata nel 1923, soprattutto per evitare che qualcuno commettesse un crimine in uno stato e si rifugiasse in un altro senza rischiare l’arresto. Già in passato l’istituzione è stata usata per fini distorti da alcuni regimi. Nel 1938 i nazisti rimossero il presidente dell’Interpol e trasferirono la sede a Berlino. Gran parte dei paesi che ne facevano parte ritirarono la propria adesione, e l’istituzione smise di esistere come organizzazione internazionale fino alla fine della seconda guerra mondiale.
L’obiettivo è mandare un messaggio intimidatorio in un’era di spostamenti globali: puoi anche lasciare il paese, ma troveremo il modo di punirti
I 194 stati che oggi aderiscono all’Interpol ricercano criminali di guerra, boss del narcotraffico e persone che sfuggono alla giustizia da decenni. I red notice dell’istituzione sono considerati uno strumento fondamentale, la cosa più simile a un mandato d’arresto internazionale. Ogni anno permettono di individuare migliaia di fuggitivi.
Tra le “vittime” delle allerte rosse dell’Interpol troviamo Osama bin Laden e Saadi Gheddafi, figlio dell’ex dittatore libico. In un’epoca in cui i criminali si spostano continuamente in un mondo sempre più interconnesso e gli attacchi terroristici aumentano, il riscorso ai sistemi dell’Interpol si è intensificato. Negli ultimi vent’anni i red notice sono decuplicati, passando dai 1.200 del 2000 ai quasi 12mila nel 2020.
Parallelamente alla crescita dell’elenco dei ricercati, gli esperti di diritto internazionale riferiscono che è in atto un fenomeno allarmante: alcuni governi usano l’Interpol per mettere in atto vendette politiche, prendendo di mira espatriati tra cui oppositori politici, attivisti e rifugiati. Non esiste una stima su quanti dei 66mila ricercati siano presi di mira per fini politici. Inoltre l’Interpol non pubblica i dati sulle richieste respinte. In ogni caso diversi studi, tra cui quelli condotti dal congresso degli Stati Uniti, dal parlamento europeo e da numerosi accademici, hanno documentato l’uso improprio dell’Interpol negli ultimi anni. “Non ci sono dubbi sul fatto che il numero di avvisi rossi ingiustificati stia crescendo”, sottolinea Bromund.
Il tentativo di manipolare l’Interpol è una caratteristica della repressione internazionale con cui i governi cercano di estendere il loro raggio d’azione all’estero per mettere a tacere o colpire gli oppositori. Le tattiche impiegate in questo processo vanno dall’omicidio, l’avvelenamento e lo squartamento al ricatto, l’intercettazione dei telefoni e le minacce rivolte ai familiari rimasti in patria. I metodi variano, ma l’obiettivo è mandare un messaggio intimidatorio in un’era di spostamenti globali: puoi anche lasciare il paese, ma troveremo il modo di punirti.
La decisione presa all’inizio del mese dall’Interpol di ripristinare l’accesso del governo siriano all’archivio dell’organizzazione, permettendogli di comunicare con gli altri governi, è stata duramente criticata dagli attivisti dell’opposizione. Secondo Anas al Abdah, capo dei negoziatori dell’opposizione, la decisione dell’Interpol ha fornito al regime di Bashar al Assad i mezzi per scatenare un’altra guerra contro il popolo siriano.
Toby Cadman, avvocato britannico che si occupa di crimini di guerra legati alla Siria, ha rilasciato una dichiarazione in risposta alla decisione dell’Interpol: “I sistemi dell’Interpol sono poco chiari. Non esiste supervisione né responsabilità, e i governi come quello siriano ne hanno abusato ripetutamente. Ottenere un avviso rosso è semplice. Non bisogna fornire molte informazioni. L’Interpol subisce gli effetti di una carenza di fondi e di personale. Allo stesso tempo ottenere la cancellazione di un avviso rosso, anche in paesi europei come il Regno Unito o i Paesi bassi, può essere un processo lento e difficile”.
Il destino di un individuo soggetto a un avviso rosso può variare parecchio. Alcuni paesi considerano gli avvisi rossi come un sistema di allerta, mentre altri li usano come mandati d’arresto, incarcerando il soggetto o collaborando alle procedure di estradizione. Il soggetto può subire il congelamento dei beni, la confisca del passaporto e restrizioni al movimento, per non parlare del danno alla reputazione dovuto al fatto di essere additato come criminale internazionale.
Alcuni scoprono di essere ricercati dall’Interpol quando attraversano un confine. Ad Hakeem al Araibi, calciatore del Bahrein e rifugiato politico in Australia, è accaduto durante la luna di miele in Thailandia, nel 2018. Al Araibi è stato arrestato insieme alla moglie dopo che il governo del Bahrein ha diffuso un avviso dell’Interpol con l’accusa di vandalismo. (Il calciatore aveva lasciato il Bahrein dopo che gli atleti che avevano partecipato alle proteste per la democrazia erano stati arrestati, picchiati e presumibilmente torturati durante la detenzione). L’Interpol ha revocato l’avviso quando le autorità australiane hanno fatto presente lo status di rifugiato di Al Arabi, ma il calciatore ha comunque trascorso 76 giorni in un carcere tailandese.
Un altro attivista politico perseguito all’estero attraverso l’avviso rosso dell’Interpol è Petr Silaev, ambientalista e antifascista russo accusato di “vandalismo” dopo aver manifestato nel 2010 contro il progetto di un’autostrada che avrebbe dovuto attraversare la foresta di Khimki, poco lontano da Mosca. Silaev ha lasciato il paese quando le autorità russe hanno iniziato ad arrestare altri manifestanti, e ha ottenuto asilo politico in Finlandia. Nel 2012, però, è stato arrestato in Spagna a causa di un’allerta dell’Interpol, e detenuto in un carcere di massima sicurezza. Per mesi ha lottato contro l’estradizione in Russia.
L’organizzazione per i diritti umani Fair Trials sottolinea che la decisione dell’Interpol ha esposto Silaev al rischio di un arresto in qualsiasi occasione in cui avesse attraversato un confine, e ha chiesto all’organizzazione di giustificare la propria decisione e di “chiarire se stia aiutando la Russia a perseguire altre persone sparse per il mondo con l’accusa di vandalismo”.
Nel Regno Unito Benny Wenda, leader separatista di Papua Occidentale fuggito di prigione in Indonesia e riconosciuto come rifugiato politico, ha avuto un avviso rosso motivato politicamente ed emesso dall’Indonesia. In seguito l’avviso è stato cancellato.
“Bisogna evitare di strumentalizzare le istituzioni internazionali come l’Interpol per questo genere di scopi”, ha dichiarato la cancelliera tedesca Angela Merkel dopo che uno scrittore tedesco nato in Turchia, Doğan Akhanlı, è stato arrestato nel 2017 mentre si trovava in Spagna a causa di un avviso dell’Interpol.
Ciononostante appena tre mesi fa le autorità marocchine hanno arrestato l’attivista uiguro Yidiresi Aishan dopo una richiesta di estradizione da parte della Cina. In seguito l’Interpol ha cancellato l’avviso rosso a carico di Aishan, ma l’uomo continua a rischiare di essere deportato in Cina. A settembre Makary Malachowski, attivista e oppositore bielorusso fuggito in Polonia, è stato arrestato a Varsavia dopo un avviso rosso emesso dal governo di Alexandr Lukašenko.
“Queste persone presumono che nessuno gli creda, perché quello che gli è accaduto è folle”, sottolinea Michelle Estlund, avvocata della Florida che rappresenta persone ingiustamente accusate e ricercate dall’Interpol.
Estlund ha cominciato ad aiutare persone prese di mira dall’Interpol dodici anni fa, quando è stata contattata da una donna venezuelana accusata di frode. Inizialmente Estlund aveva rifiutato l’incarico, ma da quel momento ha lavorato a casi di persone colpite dagli avvisi rossi, dalla Russia all’Ecuador. Ancora oggi è sconvolta da quanto la legge possa essere strumentalizzata.
La diffusione delle piattaforme online ha permesso ai dissidenti di criticare i governi, ma sta anche alimentando il desiderio delle autorità di mettere a tacere le voci degli oppositori, spiega Estlund.
Crimini finanziari
Lo statuto dell’Interpol vieta l’uso delle sue risorse a fini politici. Nel 2015 l’istituzione ha annunciato che avrebbe cancellato ogni avviso rosso nel caso in cui la persona fosse stata riconosciuta come rifugiato. L’operato dell’Interpol, inoltre, dev’essere in linea con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che prevede un processo equo e la garanzia delle libertà di espressione, e vieta gli arresti arbitrari. L’Interpol sostiene di analizzare accuratamente ogni richiesta. Ma allora com’è possibile che un’organizzazione con simili strumenti di controllo possa agire in modo così discutibile?
L’analisi delle richieste d’arresto problematiche spetta a una squadra specializzata che lavora nella sede di Lione, inaugurata nel 2016. La Turchia riferisce che l’Interpol ha respinto 773 richieste di arresto per l’accusa di legami con il movimento Hizmet, guidato dal religioso turco residente negli Stati Uniti Fethullah Gülen (l’Interpol ha confermato che i rifiuti sono stati più di 700). Il governo turco considera il movimento Gülen un’organizzazione terrorista responsabile per il fallito colpo di stato del 2016, e ha accusato l’Interpol di non averlo perseguito adeguatamente. Secondo alcune fonti Ankara avrebbe cercato di segnalare fino a 60mila nomi all’Interpol, anche attraverso l’archivio dei passaporti rubati. L’organizzazione ha smentito.
Gli interventi dell’Interpol contro la Turchia sono tra gli esempi più noti degli sforzi compiuti dall’organizzazione negli ultimi anni per fermare l’emissione di avvisi politicizzati. Eppure c’è chi teme che l’Interpol si affidi troppo spesso alla buona fede dei paesi che ne fanno parte, partendo dal presupposto che le informazioni che riceve siano accurate. “La funzione dell’Interpol è aiutare le forze di polizia a svolgere il proprio lavoro onestamente”, spiega Rutsel Martha, ex capo del servizio legale dell’Interpol nei Paesi Bassi e autore di uno studio sull’organizzazione. “Questo è il sistema, di conseguenza la prima reazione è affrontare la situazione nell’immediato. I controlli legali subentrano in un secondo momento”.
Uno dei modi più facili per emettere una richiesta di arresto fuorviante è accusare qualcuno di aver commesso crimini finanziari come il riciclaggio di denaro, mentre un’accusa di omicidio richiede il rinvenimento di un cadavere e un’accusa politica potrebbe infrangere le regole dell’Interpol. “È facile inventare o manipolare informazioni per creare un’accusa di appropriazione indebita o profitti illeciti”, spiega Estlund.
Responsabilità condivisa
Un esempio di quello che i critici considerano uno standard insufficiente nella richiesta di prove in merito ai reati è il caso dell’attivista turkmeno per i diritti umani Annadurdy Khadzhiev, arrestato nel 2002 in Bulgaria sulla base di un avviso dell’Interpol che lo accusava di aver sottratto 40 milioni di dollari alla banca centrale del Turkmenistan. Il presunto furto, però, si sarebbe verificato quattro anni dopo che Khadzhiev aveva smesso di lavorare nella banca. “Era obiettivamente impossibile che avesse commesso quel reato”, si legge nel rapporto presentato nel 2014 da un procuratore bulgaro davanti a un tribunale europeo per i diritti umani.
Un’opzione meno formale offerta dall’Interpol per la ricerca dei fuggitivi, chiamata “diffusione”, viene spesso considerata ancora più esposta all’uso improprio. Attraverso questi avvisi i paesi che fanno parte dell’Interpol possono inviare una richiesta d’arresto direttamente l’uno all’altro. Nel 2016 Nikita Kulachenkov, rifugiato lituano nato in Russia, ha trascorso settimane in un carcere cipriota. Era stato arrestato mentre era in viaggio per andare a trovare la madre.
Su Kulachenkov pendeva una condanna a cinque anni in Russia con l’accusa di aver rubato il disegno di un artista di strada. L’avviso dell’Interpol è stato emesso dopo che Kulachenkov aveva cominciato a collaborare con le indagini della Fondazione anticorruzione creata dall’oppositore Alexej Navalnyj, avvelenato con un agente nervino e attualmente incarcerato in Russia.
Kulachenkov sostiene di aver trovato il disegno per strada ed è sicuro che il valore dell’opera sia stato inventato per creare un’accusa che in realtà ha una motivazione politica. Il suo caso è stato gestito dalle più alte autorità giudiziarie del paese, che hanno ordinato una perquisizione del suo appartamento a Mosca. Più di un anno prima dell’arresto a Cipro, Kulachenkov aveva scritto all’Interpol chiedendo di rifiutare le richieste di arresto a suo carico in quanto vittima di persecuzione. L’Interpol ha riconosciuto la fondatezza dei suoi timori.
Kulachenkov, che oggi vive a Berlino, teme ancora di essere arrestato se dovesse attraversare alcuni confini. I dati dell’Interpol possono restare nei computer della polizia anche dopo la revoca di un avviso. Kulachenkov ricorda l’incredulità delle autorità cipriote davanti alle accuse a suo carico. Ridendo, gli agenti ciprioti gli avevano domandato: “Davvero la Russia si è rivolta all’Interpol per arrestarti per furto da 60 euro?”.
Jürgen Stock, segretario generale dell’Interpol negli ultimi sette anni, è sorprendentemente incline a parlare delle minacce alla credibilità dell’Interpol. Spesso Stock è frustrato perché scopre dai giornali, e non dai suoi collaboratori, l’esistenza di una richiesta d’arresto ingiustificata, per esempio verso un rifugiato. Non sempre i governi notificano all’Interpol lo status di rifugiato di una persona, dice Stock, quindi secondo lui in questi casi la responsabilità è “condivisa”.
Stock, 62 anni, spiega che l’attività primaria dell’Interpol è prendere di mira “pedofili, assassini e truffatori”. Non fornisce i dati sull’uso improprio degli strumenti dell’Interpol contro oppositori politici e rifugiati, ma ribadisce che gli avvisi di questo tipo rappresentano “una piccola percentuale dei casi” rispetto alla “grande maggioranza” di azioni legittime. Tuttavia anche la sua stima approssimativa di un 5 per cento di avvisi emessi in modo improprio ogni anno si traduce in centinaia di richieste d’arresto illegittime.
Sotto la sua guida l’Interpol ha rafforzato la sua Commissione di controllo delle attività interne (Ccf) che esamina gli appelli e può cancellare gli avvisi, e ha pubblicato più informazioni sulle decisioni in merito agli esposti. Inoltre Stock ha rafforzato la squadra di specialisti che analizza gli avvisi prima che vengano emessi. I critici hanno accolto con favore questi cambiamenti, ma alcuni sottolineano che il sistema non è ancora abbastanza solido. Stock riconosce che c’è ancora molto da fare. “Non ho una soluzione ottimale per risolvere tutti i problemi”, ammette. Nei suoi ultimi tre anni di mandato vuole rafforzare ulteriormente i sistemi di controllo.
Manipolare il sistema
Secondo gli esperti legali una sfida particolarmente difficile riguarda i tempi necessari per la rimozione di un avviso erroneo, e i danni che possono essere fatti nel frattempo. È il caso di Selahaddin Gülen, nipote di Fethullah Gülen residente negli Stati Uniti e arrestato in Kenya lo scorso ottobre sulla base di un avviso dell’Interpol che lo accusava di abusi sessuali su un minore. Gülen nega l’accusa, che il suo avvocato ha definito “del tutto falsa”.
A sette mesi da quell’episodio, dopo essersi presentato alla polizia keniana per le disposizioni per la libertà vigilata, Gülen è stato nuovamente arrestato e deportato in Turchia. “È stato trasferito illegalmente, senza un verdetto di un tribunale keniano”, sottolinea Nate Schenkkan, direttore del settore ricerca di Freedom House. “È un caso evidente di abuso dei sistemi dell’Interpol”.
A dicembre gli avvocati di Gülen avevano chiesto la rimozione dell’avviso rosso. Un testimone esperto ha spiegato che dopo il fallito colpo di stato del 2016 la Turchia ha riaperto un processo archiviato nel 2008. A luglio l’Interpol ha annunciato la cancellazione dell’avviso rosso, ma per Gülen era troppo tardi: si trovava in carcere in Turchia, dove secondo i mezzi d’informazione locali su di lui pendono diversi capi d’accusa per terrorismo. La moglie ha definito l’arresto e la deportazione del marito “un rapimento”: “Da quel giorno non ho più avuto sue notizie”, dice in un video.
L’Interpol è governata dagli stati che ne fanno parte, tra cui ci sono governi che potrebbero avere interesse a manipolare il sistema
La Ccf è composta da otto specialisti che si riuniscono diverse volte l’anno. Nel 2018, l’anno più recente per cui sono disponibili i dati, la commissione ha stabilito che il 48 per cento dei 346 esposti esaminati riguardava violazioni delle regole dell’Interpol. Le penalità imposte dall’Interpol ai paesi che infrangono le regole includono il blocco dell’accesso all’archivio e ai sistemi fino a tre mesi. L’istituzione le definisce “misure correttive” piuttosto che punizioni, e sono in vigore almeno dal 2011.
Alcuni paesi hanno deciso di prendere provvedimenti. Negli Stati Uniti un gruppo trasversale del congresso riunito attorno alla Commissione Helsinki sta cercando di far approvare il Transnational repression accountability and prevention act, una legge proposta nel 2019 per limitare gli arresti basati sugli avvisi rossi dell’Interpol e impedire ai governi esteri di perseguire i propri cittadini all’estero.
Ma alla fine dei conti l’Interpol è governata dagli stati che ne fanno parte, tra cui ci sono governi che potrebbero avere interesse a manipolare il sistema. A novembre i rappresentanti degli stati membri si riuniranno a Istanbul per eleggere il prossimo presidente dell’organizzazione. Tra i candidati, il favorito è una figura controversa: Ahmed Naser al Raisi, un alto funzionario della sicurezza degli Emirati Arabi Uniti che fa parte del comitato esecutivo dell’Interpol. Le organizzazioni per i diritti umani lo accusano di gestire un apparato di sicurezza “notoriamente violento” che ha arrestato i dissidenti e sfruttato impropriamente gli avvisi rossi dell’Interpol. Un rapporto pubblicato quest’anno da International human rights advisors ha concluso che “Al Raisi non è adatto al ruolo. Al momento ricopre un incarico ai vertici nel sistema giudiziario criminale degli Emirati e ha favorito un aumento della repressione dei dissidenti, dell’uso della tortura e degli abusi”.
Kharis è uscito di prigione nel 2018, dopo che un giudice federale ha accolto le prove degli abusi delle procedure dell’Interpol da parte della Russia e dei “gravi difetti” nel sistema dell’Interpol. Nell’aula i sostenitori di Kharis hanno abbracciato la moglie Anna, in lacrime, ma la scarcerazione non ha messo fine alla battaglia giuridica. Kharis è stato controllato attraverso un braccialetto elettronico fino all’estate, un’esperienza che gli ha provocato un costante senso di vergogna. I suoi movimenti sono limitati e monitorati attraverso il gps in attesa della decisione sulla richiesta di asilo, inizialmente rifiutata.
Oggi Kharis vive a Palo Alto, in California, e sta cercando di ricostruirsi la vita. Ha fondato una società nel campo della ristorazione a domicilio e lavora come commercialista. Il suo processo è ancora in corso, segnato da vittorie e sconfitte. L’estate scorsa, nove mesi dopo l’appello presentato all’Interpol e quattro anni dopo l’emissione dell’avviso rosso, l’organizzazione gli ha comunicato che lo status di ricercato era stato cancellato. “Penso ancora che l’Interpol sia utile”, spiega. “Ma è troppo facile manipolare il sistema. Stiamo parlando della vita delle persone”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian.
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